Solo 5 anni a Pistorius E usa anche l'handicap per evitare il carcere

Uscirà tra 10 mesi. Era diventato un simbolo per aver rivendicato l'uguaglianza con i «normali». Ma adesso ha cambiato idea...

Solo 5 anni a Pistorius E usa anche l'handicap per evitare il carcere

Cinque anni di carcere, ha detto il giudice, «di meno avrebbe dato l'impressione che esiste una legge per i ricchi e famosi e una per i poveri». La famiglia di Reeva Steenkamp si dice «soddisfatta» perché è sventato il paradosso di un omicida che se la cava con i servizi sociali, lo zio-patron di Oscar Pistorius «accetta la sentenza», anche perché tra nemmeno un anno il nipote sarà ai domiciliari. L'accusa nicchia sul ricorso in appello. Dunque, giù il sipario sul processo -spettacolo più discusso dai tempi di OJ Simpson. Tutta qui la favola e l'incubo di «Blade runner», l'uomo che correva sulle lame? E dov'è finita la sua ossessione di sfidare i «normali» sulle piste d'atletica, la battaglia di una vita per non essere discriminato rispetto a chi ha tutti gli arti al loro posto, la campagna mediatica che ha diviso e ispirato il mondo? Tutto dimenticato, tutto bruciato sull'altare di una battaglia più piccola, più personale: quella per non finire in carcere. Nell'ultima fase del processo, quella in cui si decideva se condannarlo alla prigione o solo ai servizi sociali, l'atleta che aveva superato se stesso non si è risparmiato e ha sacrificato anche l'ideale di una vita: sul tavolo del giudice non ha esitato a far pesare l'argomento opposto a quello che ha sempre sostenuto: un disabile non è come gli altri, non può andare in carcere. E per convincere il magistrato sudafricano venuto dal ghetto, la signora Thozokile Masipa, non ha esitato a fare scempio del valore che ogni uomo e donna disabili rifiutano di farsi amputare: la dignità. In aula si è mostrato col viso rigato di lacrime, ha singhiozzato, ha vomitato. E per mostrare al giudice la sua vera altezza, e convincerlo che non poteva metterlo in cella con dei detenuti «normali», non ha esitato a camminare sui moncherini, le sue gambe amputate fino al ginocchio, le stesse gambe che, armate di lame da corsa, aveva esibito come un simbolo davanti alle telecamere di tutte le tv del pianeta quando aveva centrato il suo obiettivo: correre contro i «normodotati» alle Olimpiadi di Londra. Ready, set, go. Lo sparo e 45,4 secondi di corsa sulle protesi in carbonio, del 22% più leggere rispetto alle gambe di carne, cartilagine, ossa. Quarantacinque secondi per convincere il mondo e farlo inchinare di fronte alla sua idea. E poi quarantasette udienze per svendere tutto.

D'accordo, forse non spettava alla giustizia dei tribunali scrivere la morale di questa storia. Ma, al di là della congruità della pena, dieci mesi di cella per aver cancellato il futuro a una bellissima ventenne non sanno certo di condanna esemplare, qualcosa bisogna pur dire a chi ha scritto messaggi di incoraggiamento sul blog «support Oscar Pistorius» e ha continuato a farlo anche dopo quel giorno di San Valentino del 2013, quando l'atleta ha vuotato la sua pistola contro la porta del bagno di casa, dietro la quale c'era Reeva, la sua fidanzata.

Qualcosa bisognerà dire ai ragazzi disabili che su Twitter scrivevano «sei il mio eroe», pubblicavano la foto di Pistorius che insegnava a una bimba senza gambe a cavalcare le sue protesi e commentavano: «Se non vi ispira questo, cos'altro può farlo?».

Ma lui della sua ossessione di scendere su una pista delle Olimpiadi «vere» non ha parlato più. Alla lettura della sentenza ha piegato la testa, non all'indietro come faceva in pista, ma in avanti, per nascondere gli occhi lucidi. Se per la disperazione di veder spalancare le porte del carcere o per il sollievo, non lo sapremo mai.

Il giudice però deve averci pensato, perché alla fine ha usato il passato di Pistorius contro di lui. Ne ha riconosciuto le fragilità ma anche ricordato che, correndo in pista contro atleti senza disabilità, «ha dimostrato di sapervi fare fronte».

Nel carcere di Kgosi Mampuru dove andrà Pistorius troverà altri cento detenuti disabili. Per loro niente telecamere, nessun tweet di incoraggiamento. Ma per dieci mesi anche loro saranno uguali all'uomo che correva con le lame.

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