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"Sono Clemente, perdono. Ma mi hanno perseguitato come i cristiani in Irak"

L'ex Guardasigilli dopo l'assoluzione: 9 anni di calvario. E ho un sospetto sui servizi...

"Sono Clemente, perdono. Ma mi hanno perseguitato come i cristiani in Irak"

È Clemente, Mastella «non cerco nessuna rivincita, voglio solo che ci si fermi e si pensi. Vorrei solo che giudici perbene (e ce ne sono tanti), pubblici ministeri attenti e politici appassionati lavorassero finalmente insieme per regalare un umanesimo giudiziario al nostro Paese».

Tutto qui sindaco Mastella? L'hanno assolta dopo nove anni...

«Nove anni e due mesi, ma in verità le prime voci di un'inchiesta su di me sono arrivate nel 2006. Quindi il nostro calvario è iniziato undici anni fa».

Nostro?

«Nostro, della mia famiglia più che mio, di mia moglie e mio figlio. E dei miei amici di partito. Sapete cosa mi ha fatto più male?».

Cosa?

«La sofferenza della mia famiglia e di chi ha sempre creduto in me e non ha mai dubitato della mia innocenza. Hanno distrutto i miei amici, li hanno fatti fuori come i cristiani in Irak. E hanno distrutto l'Udeur, un partito e la sua storia di cattolici e centristi. Ci hanno descritti come non eravamo, un gruppo di delinquenti. Neppure la Dc, il Psi e il Pci vennero trattati così durante Tangentopoli. Eppure, in quel caso, ci furono alcune prove tangibili di colpevolezza. Con noi no, nessun reato, nessuna prova e ora tutti assolti. Ora la storia è passata, ma io voglio che venga cancellata, iniziando da Wikipedia: basta balle sul mio conto, accenni, sottintesi. Se ne scovo una querelo».

Da dove si parte per arrivare a quell'umanesimo giudiziario che lei ha appena citato?

«Dall'abolizione della legge Severino, una legge orrida fatta da un gruppo di tecnocrati al solo scopo di ammazzare la politica. E nessuno a dire nulla, anche la politica buona ha taciuto. Ecco, fermiamoci, riflettiamo e cancelliamo la Severino, ripartiamo da qui. Certo non dai vaffa di Grillo o da quelli di Di Maio: mi pare abbia deciso di non tacere neppure oggi dichiarando qualcosa sulla mia vicenda. Quanta ipocrisia e quanto silenzio in questi anni».

Ora però la batteria ha ripreso a suonare: l'hanno chiamata in molti oggi?

«Esatto, anche dalla batteria, il centralino di Camera e Senato».

La chiamata più gradita?

«Tante, ma una in particolare. Quella di Vannino Chiti, che nove anni fa, al Senato, fu l'unico a essermi vicino e si espresse, lo fece pubblicamente, senza ipocrisia. Non come il silenzio di tanti altri che grazie a me erano diventati deputati, senatori, sottosegretari o ministri».

I nomi?

(Ride) «Sono clemente, si è già detto. E sono cattolico, credo nel perdono, i nomi sono chiari, soprattutto a chi si è comportato così».

Una telefonata da Andrea Orlando, attuale ministro di Giustizia?

«Certo non tocca a me chiamarlo e comunque fino a questo momento, fino alle tre di questo pomeriggio, da Orlando non ho ricevuto nessuna telefonata».

Ora nove o undici anni dopo che idea si è fatto di questa vicenda?

«La verità?».

Sarebbe meglio.

«Che dietro questa vicenda non ci siano i giudizi, ma i servizi: i giornali ricevevano i files delle mie intercettazioni a Napoli da uno della Prefettura».

Primi titoli flash dopo la sentenza: Assolto Mastella, l'inchiesta fece cadere il governo Prodi. La sua reazione?

«Una fortissima irritazione nel mettere ancora in connessione le due cose: un'altra balla».

In realtà lo ha anche sostenuto l'ex premier Romano Prodi: disse che lei gli confessò che le tolse la fiducia per far saltare il banco sulla nuova legge elettorale nata all'epoca dall'accordo Forza Italia e Pd. Che risponde?

«Per Prodi è comodo dire che cadde per colpa di Mastella. Ma se volesse essere sincero fino in fondo dovrebbe dire che ci fu una strategia per fotterlo portata avanti da Veltroni. Io in quella vicenda sono stato parte lesa. Quel governo non cadde per colpa mia: i numeri lo dimostrano. Al Senato vennero meno alcuni esponenti della Margherita. Anche con i miei voti non c'erano i numeri, è cronaca. Ma anche qui: via con la campagna contro Mastella e i suoi amici, brutti, neri e meridionali».

Ora che farà?

«Quello che già faccio, ma se è possibile con ancora più gioia: il sindaco di Benevento».

Domenica c'è Napoli-Benevento, andrà allo stadio?

«E certo».

Incontrerà il suo collega Luigi de Magistris, oggi sindaco di Napoli, ma prima un altro magistrato che indagò su di lei...

«Non indagò perché un giudice perbene, come ce ne sono tanti, ravvisò subito che non c'erano ipotesi di reato sulle quali indagare, parliamo di una vicenda precedente, un'altra procura, mi pare che l'inchiesta fosse stata ribattezzata Why Not, una cosa del genere».

Che dirà a de Magistris?

«Niente, me ne guardo bene! Mi fa paura, ma stavolta solo perché sulla carta il Napoli è più forte del Benevento. Però non mi siederò certo vicino a lui. Sapete perché?»

Crediamo lo abbia già spiegato in un'intervista radiofonica nel giugno scorso, dopo la promozione in A del Benevento...

«Pazienza, lo spiego di nuovo: gli starò lontano perché crea sfortuna e io sono scaramantico».

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