"L'assalto alla lira? Fu un successo". E ora Soros sostiene le sardine

Soros rivendica l'attacco all'Italia e sostiene Santori & Co. Ora è pronto a tornare in campo con un progetto a favore della "società aperta" e delle migrazioni

"L'assalto alla lira? Fu un successo". E ora Soros sostiene le sardine

"Nessun rimpianto, ho semplicemente anticipato gli eventi". Oltre a rilanciare il progetto da un miliardo di euro per mettere "in rete" le università progressiste, nel suo nuovo libro Democrazia! Elogio della società aperta, che da martedì arriverà anche nelle librerie italiane, George Soros rivendica con sfrontatezza tutto quello per cui in molti ambienti viene preso di mira e duramente critica. Se da una parte difende, infatti, il perseguimento di un mondo privo di frontiere dove i migranti siano liberi di muoversi ovunque vogliano, dall'altra si vanta delle sue incursioni finanziarie contro il nostro Paese. "Lo considero un mio successo", dice. Il suo attacco alla lira, in quel "mercoledì nero" del 1992, fu un durissimo colpo per l'Italia. Obbligò i vertici della Banca d'Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio e portò la nostra moneta ad una svalutazione del 30%.

"Ho sempre agito nel rispetto delle regole", dice oggi Soros in una intervista rilasciata al Corriere della Sera per promuovere il libro pubblicato con Einaudi. A distanza di quasi trent'anni da quell'attacco, il finanziere non solo difende ancora quell'operazione ("Ho sempre separato la mia attività sui mercati dalle mie critiche ai mercati") ma vuole addirittura spacciarsi per "un intellettuale". "Oggi mi considero così", dice rivendicando di averv sempre criticato "gli eccessi e i mercati senza controllo". Peccato che, anche grazie a quegli eccessi, ha ottenuto la fama dello speculatore e il bollino dello squalo della finanza. A suo dire le critiche, che oggi gli piovono ancora addosso, sono mosse da "persone ricche e potenti", che lo vogliono "distruggere perché colpisco i loro interessi", e "in misura sempre maggiore" dai politici. In realtà proprio dalla politica, in particolar modo quella progressista e radical chic, ha sempre ottenuto appoggi e applausi. Nel 1995, per esempio, come raccontò Bettino Craxi in una intervista (guarda qui), la colossale speculazione sulla lira gli valse, "a riconoscimento", una laurea ad honoris causa dell’Università di Bologna. L'indicazione arrivò, guarda caso, dal suo amico Romano Prodi.

Oggi Soros vanta un patrimonio da 8,3 miliardi di dollari e non molla di un millimetro il suo impegno per cercare di plasmare il mondo come lui vorrebbe. Dal sostegno alle rivoluzioni colorate, che hanno destabilizzato i Paesi del Nord Africa, i Balcani e il vicino Oriente, ai progetti a favore dell'accoglienza dei migranti, passando inevitabilmente per il contrasto a qualsiasi forma di nazionalismo, continua a essere in prima linea e a muovere le fila da dietro le quinta. Anche nei giorni scorsi si trovava al World Economic Forum di Davos per annunciare il nuovo progetto da un miliardo di dollari che servirà a mettere in rete una serie di università progressiste. Sarà una sorta di estensione della sua Central European University, l'ateneo che in Ungheria ha a lungo operato contro il premier Viktor Orban finché quest'ultimo non lo ha cacciato dal Paese obbligandolo a trasferirsi a Vienna. Il suo nuovo libro è stato pubblicato proprio per promuovere questa sua idea della società aperta dove, come spiega al Corriere della Sera, "i rappresentanti democraticamente eletti dovrebbero mettere gli interessi degli elettori davanti ai loro".

A Soros i "rappresentanti democraticamente eletti" vanno a genio solo quando i loro interessi collimano con i suoi. Nella sua black list ci sono ovviamente capi di Stato come Donald Trump, Vladimir Putin, Boris Johnson e ovviamente Viktor Orban. E poi, dice lui stesso, "come si chiama? Ah sì, Salvini".

Dice di preferire i movimenti che partono dal basso, come "il fenomeno delle sardine" e i sindaci che si stanno impegnando contro il cambiamento climatico e a favore delle migrazioni interne. Al loro fianco ci sarà sempre lo squalo della finanza, pronto ad aprire il portafogli per plasmare l'Occidente e correggere quelle democrazie che non gli piacciono.

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