Milano Parte ieri a fine mattinata il siluro giudiziario che potrebbe inabissare anzitempo la carriera di Roberto Maroni come governatore della Lombardia. Il diretto interessato, però, ostenta sicurezza. «Sono tranquillissimo - dice - e non ho nessun timore, di nessun tipo».
Dopo avere scavato a lungo, e dopo avere tenuto a lungo ferma l'indagine perché non deflagrasse a cavallo dell'apertura di Expo, il pm Eugenio Fusco tira le fila del procedimento che ruota intorno ai favori che Maroni avrebbe fatto a due donne che collaboravano con lui fin dai tempi del ministero dell'Interno. A una di queste, Maria Grazia Paturzo, il pm attribuisce «legami affettivi» con il presidente della Regione Lombardia, e a sostegno di questa tesi vengono depositati a disposizione delle parti (e a breve, di conseguenza, del pubblico) una quantità di messaggi privati. «Sappiamo che verremo attaccati per questo - spiegavano nei giorni scorsi gli investigatori - ma erano rilevanti ai fini dell'indagine. E abbiamo scartato ciò che con l'indagine non aveva nulla a che fare».
Per avere fatto assumere da Eupolis Mara Carluccio, Maroni si vede attribuire il reato di «turbata determinazione del contraente», che anche in caso di condanna non avrebbe conseguenze sulla sua carriera politica. I pericoli vengono dall'altro capo d'accusa, che ruota intorno alle pressioni che il governatore avrebbe compiuto nel giugno del 2013 per costringere Expo a imbarcare a sue spese la Paturzo nella missione ufficiale della Regione a Tokyo. Passo cruciale della ricostruzione dei pm, un sms in cui il capo dello staff di Maroni scrive «il presidente tiene a che la delegazione per Tokyo comprenda anche la società Expo attraverso la dottoressa Paturzo», esigendo anche business class e albergo a cinque stelle. Alla fine Expo cede. Ma è Maroni alla fine a rinunciare al viaggio: secondo il pm, per le proteste di Isabella Votino, sua portavoce storica, che non sopporta la Paturzo.
La vicenda viene tradotta in un capo d'accusa che, in base alla legge Severino, porterebbe dritto dritto in caso di condanna alla sospensione di Maroni dalla carica di governatore. La concussione per induzione è punita con il carcere da tre a otto anni. E rientra nell'elenco dei reati per i quali basta una condanna in primo grado a portare alla rimozione fisica di un pubblico amministratore dalla sua carica. È, per citare un esempio assai noto, nella norma che ha spodestato Luigi de Magistris da sindaco di Napoli.
Contro l'applicazione retroattiva della legge Severino de Magistris e il neo presidente della Campania De Luca si sono visti dare ragione dal Tar. Ma è un appiglio che Maroni non ha, perché i fatti che gli vengono contestati sono successivi all'entrata in vigore della norma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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