"Spie, lapidazioni e frustate la morte nella Mosul dell'Isis"

Il racconto degli iracheni fuggiti dal Califfato: "A scuola non c'è matematica. Il + è abolito, ricorda i cristiani"

"Spie, lapidazioni e frustate la  morte nella Mosul dell'Isis"

Gli uomini dello Stato islamico hanno preso Sarmad Raad mentre camminava per le strade di Mosul, la seconda città più importante dell'Irak, conquistata dai jihadisti due anni e mezzo fa. Condotto nel cuore del quartiere di Samah, è stato costretto a guardare due vicini di casa che sfilavano bendati, accusati di adulterio. All'uomo sono state inflitte 150 frustate, la donna è stata lapidata, secondo i precetti della sharia. Le prime due pietre, però, non l'hanno uccisa. «Non è ancora morta», si è lamentato un jihadista, dopo aver controllato il battito. Subito è volata una terza pietra che l'ha colpita fatalmente alla tempia. «Sono ammutolito», ricorda Raad, 26 anni. «Ho perso la testa».

Come tanti altri musulmani sunniti di Mosul, quando nel 2014 l'esercito iracheno ha abbandonato la città, lasciando che l'Isis la conquistasse senza sparare un colpo, Raad ha esultato. Appoggiava quei jihadisti perché credeva che avrebbero finalmente imposto un dominio giusto, diverso da quello dell'odiato governo sciita. Dopo pochi mesi di vita nel Califfato, però, si è ricreduto. Raad parla all'Associated Press da uno dei campi del governo di Baghdad, che il 17 ottobre ha avviato con il sostegno internazionale le operazioni per riprendere la città. L'offensiva ha già consentito a centinaia di persone di scappare.

Subito dopo la nascita del Califfato, i jihadisti hanno perseguitato cristiani, curdi e sciiti. Le case dei primi sono state marchiate con la lettera N, per Nazareni, e requisite. Poi tutti i cristiani sono stati cacciati: chi voleva restare, doveva pagare il «tributo umiliante», convertirsi all'islam o morire. Gli sciiti non hanno avuto il privilegio della scelta e sono stati trucidati in massa. Chi denunciava invece agli islamisti la presenza «di una famiglia curda riceveva in premio un'automobile».

Gli sfollati con i loro ricordi permettono di entrare nella vita quotidiana di Mosul. La sharia è imposta a tutti: le donne che non si coprono fino ai piedi ricevono multe da 25mila dinari, circa 20 euro, frustate o i temuti «morsi» inflitti sulla carne con una tenaglia dai denti di metallo dalle brigate femminili della polizia religiosa. Per capire fino a che punto si spinge la paranoia religiosa del Califfo, però, bisogna studiare la «Buona scuola» islamista. Non solo sono state abolite le ore di arte e musica, anche l'insegnamento della matematica è minato. Come rivelato infatti da Mosul Eye, blog tenuto da un coraggioso residente della città, nei corsi di matematica è vietato usare il simbolo aritmetico + perché «assomiglia troppo a una croce cristiana». Anche per questo tante donne come Khodrya Ahmed, madre di 12 figli, hanno deciso di non mandarli più a scuola. Una scelta rischiosa visto che i jihadisti «minacciano di morte chi non frequenta» e chi disobbedisce può anche essere impiccato ai lampioni delle strade. Come raccontano altri testimoni, «per finire appesi basta usare un cellulare, che equivale a un atto di spionaggio». Non solo, nei mercati gli islamisti distribuiscono volantini avvisando i cittadini che i «criminali» saranno stati bruciati vivi nei forni. Tutte atrocità da compiere pubblicamente in piazza, con gli abitanti obbligati a guardare.

La battaglia per la liberazione della capitale irachena del Califfato si prospetta ancora lunga, ma Mustapha, scappato da

poche settimane, non ha fretta di tornare a casa: «Mosul è come una foresta piena di mostri nascosti», jihadisti travestiti da comuni cittadini. «Ma io ricordo tutto e posso riconoscere chi si è unito allo Stato islamico».

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