Gli stabilimenti balneari sono all'ultima spiaggia

Saltato l'emendamento che prorogava i pagamenti. Nel 2007 la stangata sulle concessioni demaniali decisa dal governo Prodi. E adesso molte aziende rischiano la chiusura

Gli stabilimenti balneari sono all'ultima spiaggia

Roma - Strano Paese, un Paese con 8.300 chilometri di costa lasciati all'incuria generale, male attrezzati, con un fenomeno di erosione delle spiagge pari a 75mila metri quadrati perduti ogni anno. Strano e singolare Paese, quella Penisola attanagliata dalla crisi incapace di sfruttare la sua principale miniera, il turismo, cenerentola senza ministero e senza piano generale per rilanciare occupazione a costo zero. Strano e maledetto Paese, l'Italia, che preferisce al contrario pretendere il tributo di un uovo oggi, ma uccide la gallina dalle uova d'oro.

Assurdo, eppure è così. Rischiano di chiudere stabilimenti balneari, bar e ristoranti che hanno legato la loro storia alla storia di quel Belpaese ormai solo nei ricordi. I Bagni Tirreno e Pancaldi di Livorno, per esempio, set cinematografici di commedie all'italiana. Oppure il Lido di San Giovanni , storico stabilimento di Gallipoli. O ancora Da Gher al porto di Riccione, il Marinella di Loano; aziende che hanno fatto la fortuna (e il fatturato) di intere costiere come quella Amalfitana, quella riminese, quella ligure. Sono circa 220 strutture disseminate nei punti più belli, autentiche «perle» dei ricordi estivi o romantici di ciascuno. Colpa della crisi, se ne lava le mani il Mef, senza capire che, nell'ansia di far quadrare i numeri li si azzera per sempre.

È la cosiddetta «sindrome di Monti», quel celebre professore di economia che, senza sapere e capire, con le sue tasse ha messo in ginocchio un settore come la nautica, per esempio, basandosi sull'assioma che chi possiede una barca (perfino sotto i 15 metri) è un nemico da colpire. Oggi la sindrome colpisce i titolari di concessioni demaniali che nel corso dei decenni hanno creato strutture fisse, poi «incamerate» dallo Stato e oggetto di canone. Ma soprattutto hanno creato aziende che erano floride, e che ora sono inseguite dagli esattori di Equitalia. Colpa di un insensato aumento introdotto dalla finanziaria 2007 dal governo Prodi, che varò «rincari» del 3000-5000 per cento. Aumenti da 10mila euro a 100mila, che con gli arretrati sono talora giunti a superare il milione di euro. È successo naturalmente che quasi tutti i mille concessionari si sono difesi con ricorsi alla magistratura e procedimenti che vanno avanti da anni (di recente il Tribunale di Venezia ha dato ragione ai ricorrenti e imposto all'Agenzia del demanio e al Comune di tagliare i canoni ritenuti non equi). La sanatoria varata nella legge di Stabilità 2013, che prevedeva il pagamento di un aumento pari al 30 per cento delle somme pretese, recepiva questa difficoltà in attesa che la nuova normativa allo studio del Parlamento regolasse daccapo la materia (si prevede che dimezzerà del 50 per cento i canoni attuali).

Ieri notte, in commissione Bilancio, invece «l'insipienza del sottosegretario unita all'ottusità dei funzionari del Mef - racconta Sergio Pizzolante, deputato Ncd - hanno bocciato l'emendamento al Milleproroghe da me e altri presentato affinché si preveda lo slittamento dei pagamenti in attesa della riforma». Una miscela esplosiva che ora rischia di mandare sul lastrico aziende e migliaia di lavoratori. «E il gettito non arriverà mai perché le imprese non sono in grado di pagare». Pizzolante si rifiuterà di votare il Milleproroghe , «per non essere complice».

Ma quanti, del governo e del Parlamento, daranno senza saperlo l'ultima coltellata al turismo italiano? E cosa aspetta il premier Renzi a occuparsi dell'unico settore davvero trainante per il rilancio economico? O si tratta dell'ultimo, indecente favore a qualche finanziere del Giglio magico ?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica