Stefàno a caccia di un seggio: il Pd imbarca il killer del Cav

Il senatore ex Sel era relatore del testo sulla decadenza di Berlusconi. Ora passa ai dem: candidatura in vista

Stefàno a caccia di un seggio: il Pd imbarca il killer del Cav

Alla fine il figliol prodigo torna nella casa dem, giusto in tempo per le prossime elezioni. Dario Stefàno - l'uomo che nel 2013, presidente della Giunta per le autorizzazioni del Senato, firmò da relatore la decadenza di Silvio Berlusconi - lascia definitivamente ciò che resta di Sel/Si, e sbarca nel Pd accolto da un gioioso tweet del segretario, Matteo Renzi, che porge il benvenuto al senatore che «ha fatto il percorso inverso, da Sel al Pd».

Per la verità Stefàno di percorsi ne ha fatti diversi, e prima di ritrovarsi sulla stessa barca di Nichi Vendola (ma in Sel era «indipendente») aveva cominciato la sua carriera politica nella Margherita. Anche l'avvicinamento al Pd è stato lento ma inesorabile, «un percorso coerente», lo definisce lui, che a Sel aveva voltato le spalle già a marzo del 2016, quando il fu partito di Vendola s'era trasformato in Sinistra Italiana, mentre Stefàno era rimasto nel suo movimentino, «La Puglia in più», per poi votare la fiducia a Gentiloni entrando così a far parte della eterogenea maggioranza che sostiene il governo. Ora, tra Rosatellum e frammentazione della galassia di sinistra, arricchita ancora di più dai transfughi del Pd, il fascino della «casa madre» ha sedotto definitivamente il presidente della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama. Che ha rotto gli indugi e alla fine ha dunque sposato la causa Dem: il «killer» del Cav è dunque pronto a candidarsi per il Pd alle prossime elezioni.

Ormai, parlando al Quotidiano di Puglia, Stefàno si dice sempre più convinto che senza il Pd «è difficile immaginare» che il centrosinistra possa «assumersi la responsabilità di governo». Quanto a lui, piombato in un partito che non brilla certo per unità, le idee sul riferimento politico sono chiare: l'ex rottamatore. «Penso sia doveroso interloquire con il segretario nazionale». E non si dica che il cambio di casacca è dettato dal timore di ritrovarsi a casa alla prossima chiamata alle urne. Stefàno nega sdegnato: «Nessuno credo volesse negarmi l'ospitalità in Sinistra Italiana, se solo avessi condiviso l'ispirazione iniziale. Ma nel 2015, durante la prima assemblea di Sel in cui si disse che il partito si sarebbe sciolto, dissi che non ci sarei stato». Proprio nel 2015 Stefàno confidava a Repubblica di sentirsi «a disagio» tra gli scranni di Sel, dove non sentiva «la voglia di puntare a far rivivere la coalizione di centrosinistra».

Eppure in quell'anno cruciale il senatore «centrista di Sel» aveva anche avuto attriti con l'allora premier e adesso suo segretario. Arrivando a definire «imbarazzante, affrettato e superficiale» il commento di Renzi al «no» del Parlamento all'arresto di Antonio Azzolini, dopo che la giunta si era espressa per l'arresto.

E alla vigilia delle elezioni regionali pugliesi, a chi gli chiedeva se avevano ragione i «maligni» che ipotizzavano un suo passaggio al Pd previo accordo con il futuro governatore Michele Emiliano, Stefàno aveva tagliato corto: «non è all'ordine del giorno». O almeno non lo era ancora.

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