«Non merito il perdono, ho paura anche a chiederlo vista la gravità di quanto fatto». Francesco Mazzega non si dava pace. Aveva strangolato la fidanzata Nadia Orlando di 21 anni nel 2017 e tre giorni fa era stato condannato a trenta di carcere, ma si è tolto la vita. Non si saprà mai se per il peso del rimorso o per quello di dover scontare la galera.
Ma ieri sera è stato trovato impiccato nel giardino della sua abitazione, in Friuli. In appello venerdì gli era stata confermata la condanna a trenta anni avuta in primo grado.
DopLo aver ascoltato la sentenza era tornato a casa dei genitori, a Muzzana del Turgnano, dove era ai arresti domiciliari, con il braccialetto elettronico. Nessuno sospettava nulla o avrebbe potuto prevederlo. Lo hanno trovato alcuni parenti, che erano andati a trovarlo. Ma era già troppo tardi. Quando i sanitari del 118 sono giunti sul posto hanno tentato per quaranta minuti di rianimarlo, ma è stato inutile.
In Aula venerdì, in una dichiarazione spontanea, il trentottenne aveva detto ai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Trieste e ai familiari di Nadia che non riusciva a capacitarsi di quanto aveva fatto, spiegando di non riuscire nemmeno a sentir pronunciare il suo nome associato a un fatto tanto grave e di non meritare il perdono.
I genitori e il fratello della vittima, invece, uscendo dal Tribunale si erano detti soddisfatti: «Nadia non ritornerà mai più, ma almeno giustizia è stata fatta». La ragazza di Vidulis di Dignano (Udine) era stata strangolata il 31 luglio 2017, perché aveva deciso di lasciarlo. Un taglio che lui, come i protagonisti di quasi tutti i femminicidi, non era riuscito ad accettare. Così quello che poteva essere un chiarimento è diventato un omicidio.
L'assassino dopo il delitto aveva vagato tutta la notte con il corpo della giovane nell'auto. Poi si era presentato con il cadavere al comando della polizia stradale di Palmanova, confessando tutto. Una volta espiata la pena Mazzega avrebbe dovuto rispettare tre anni di libertà vigilata.
Antonella, la mamma della studentessa, a quel pentimento non aveva mai creduto e stava aspettando la decisione della Corte sulla richiesta di aggravamento della misura cautelare, avanzata sempre venerdì dal Procuratore generale Federico Prato. I legali della difesa, Mariapia Maier e Federico Carnelutti, invece erano pronti a dar battaglia.
«Eravamo molto preoccupati - riferisce l'avvocato Maier - tanto che avevamo già espresso la nostra preoccupazione nelle sedi opportune per la questione mediatica che si era creata intorno a questa vicenda.
Secondo me la giustizia deve essere applicata cercando di dare la pena che spetta e non soltanto una pena che deve portare serenità o tranquillità al dolore che purtroppo c'è e c'è in tutti». Ma non si sarebbero aspettati questo epilogo.
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