Chi sta difendendo il dottor Fabio De Pasquale, procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, nel processo Eni e nel gigantesco intrigo che ne è seguito? Sta difendendo gli interessi della giustizia e della verità, o sta difendendo se stesso? Poiché tutto è possibile, magari sta difendendo entrambi. Ciò non toglie che non si possa capire bene la tempesta che ha investito la Procura milanese, lacerata al suo interno e con un capo sconfessato persino dal Consiglio superiore della magistratura, se non si scava bene nelle pieghe del processo da cui tutto nasce, l'accusa di corruzione ai vertici Eni per le tangenti in Nigeria; e non si focalizza l'attenzione sulle scelte compiute in questi giorni da De Pasquale, che delle accuse all'Eni è stato il protagonista assoluto.
Il tribunale, come è noto, il 17 marzo ha assolto con formula piena i vertici Eni. Una assoluzione che De Pasquale temeva, e che ha fatto di tutto per impedire. Al punto di nascondere le prove a favore degli imputati, in particolare il video di un incontro in cui Vincenzo Armanna, l'ex manager Eni utilizzato da De Pasquale come «gola profonda», si rivelava come un ricattatore in piena regola, pronto già un anno prima a «fare arrivare una valanga di merda» sui vertici aziendali se non avessero accolto le sue pretese. Un video definito «dirompente» dai giudici che hanno assolto i vertici Eni.
Per non avere portato quel video in aula, oggi De Pasquale è sotto inchiesta a Brescia per abuso d'ufficio. Eppure c'è la firma di De Pasquale sotto il ricorso presentato contro l'assoluzione dei dirigenti Eni. Il ricorso per ben otto pagine, dalla 72 all'80, si occupa del video di Armanna. Il video è cruciale per capire la vera storia degli affari Eni in Nigeria. Insieme ad Armanna vi compare Piero Amara, ex avvocato Eni, l'altro «pentito» usato da De Pasquale nel processo, insieme a due uomini di area Pd: Andrea Peruzy, ex braccio destro di Massimo D'Alema, e Paolo Quinto, assistente di Anna Finocchiaro. Nel video, Armanna annuncia agli altri la sua intenzione di ricattare i vertici Eni. Ma De Pasquale tiene il video per sé: decisione che i giudici definiscono «incomprensibile» visto che «reca straordinari elementi in favore degli imputati».
Nel suo ricorso contro le assoluzioni, De Pasquale definisce «affaristico» e «da spaccone» il tono di Armanna, ma dice che il video «in nessun modo può diventare l'arma che distrugge un intero processo». Se ne occuperà a suo tempo la Corte d'appello. Il problema, per ora, è che De Pasquale si trova a giocare sia il ruolo di accusatore che quello di accusato. Al punto da non capire se le otto pagine che dedica al video nel ricorso siano più finalizzate a ottenere la condanna dei vertici Eni o la propria assoluzione nell'inchiesta bresciana.
Questo doppio ruolo di De Pasquale sarebbe in teoria impedito dalla norma che prevede l'astensione del pubblico ministero davanti a «gravi ragioni di convenienza»: una facoltà che diventa un obbligo quando il pm ha un «interesse proprio» nella vicenda. Eppure non solo De Pasquale non si astiene, non solo firma (da solo) il ricorso ma si candida a sostenere personalmente l'accusa anche nel processo d'appello: per impedire che a occuparsene sia la Procura generale, che già in un altro processo ha smontato le accuse a Eni definendo Armanna un «avvelenatore di pozzi».
Il problema è che De Pasquale può interpretare il doppio ruolo di accusatore e di accusato solo perché glielo consente il suo capo, Francesco Greco. Perché questo venga consentito da un magistrato della esperienza e della limpidezza di Greco è uno dei misteri di questa vicenda.
Ma intanto tutto, dalla fuga dei verbali di Amara al video sparito del suo compare Armanna, riporta al gorgo del processo Eni: un processo caricato dalla Procura di Milano di tali e tanti significati da considerare l'assoluzione una sorta di tragedia. E così hanno perso la testa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.