Lo stupore per quelle scie da Aristotele a Spielberg

Lo stupore per quelle scie da Aristotele a Spielberg

Sono secoli che le guardiamo, che il loro passaggio suscita paure e fantasie. All'inizio non si sapeva nemmeno che cosa fossero. Ma stupiva la loro «coda» che per i greci era una chioma ( kométes significa proprio «chiomato»). Gli àuguri ci videro da subito un segno di fortuna o sventura, ma scienziati e filosofi non riuscivano nemmeno a capire se fossero un fenomeno atmosferico o celeste. Ci si scervellarono, fra gli altri, Anassagora, Democrito, quasi tutti i pitagorici e Aristotele (il quale negò che stessero fuori dall'atmosfera). Per l'astronomia tolemaica, fatta di sfere perfette, quegli oggetti «spennachianti» non sembravano adeguati all'empireo e ai cieli dei pianeti. Ci volle Tycho Brahe (1546-1601) per dimostrare che il loro movimento era, sicuramente, in una fascia esterna a quella della Luna. Poi ci pensò, tempo un secolo e spiccioli, l'inglese Edmond Halley a dimostrare (nella sua Synopsis Astronomia Cometicae del 1705) che nel loro movimento seguivano la legge della gravitazione di Isaac Newton. Anzi risultò chiaro che alcuni, a partire dalla cosiddetta cometa di Halley, incrociavano ciclicamente l'orbita del nostro pianetino azzurro. Ma ancora quel curioso sbuffo sul posteriore restava un mistero (e secondo alcuni un'oscura minaccia). Tanto che ci si dovette mettere Pierre Bayle con i suoi Pensieri sulla cometa (1647-1706) a combattere gli isterismi provocati dalla cometa del 1680.

All'inizio del XIX secolo il matematico tedesco Friedrich Wilhelm Bessel ebbe l'intuizione (inascoltata). Teorizzò che la scia di una cometa fosse evaporazione di ghiaccio e che le forze non gravitazionali che agivano sulla cometa di Encke, quella che passa più spesso vicino alla Terra, fossero il risultato della spinta causata da getti gassosi. Le sue idee presero polvere per più di 100 anni, fino a quando Fred Lawrence Whipple propose la stessa teoria nel 1950. Ma sempre di teorie e di favole da fantascienza si trattava (tra le altre memorabile il romanzo di H.G. Wells Nei giorni della cometa, del 1906 ). Mancava il contatto diretto. Tra i primi ad immaginarselo, un gigante della sci-fi come Arthur C. Clarke, in un racconto intitolato In to the comet . Un'astronave entrava in una cometa per studiarla da vicino ma, a differenza dell'attuale missione, andava tutto storto. I suoi computer, infatti, si guastavano riducendo a zero la speranza di tornare a casa. Ma un giornalista a bordo (nella finzione sono sempre più brillanti che nella realtà) ha l'intuizione di sostituire i computer con una catena di calcolo, ripescando l'abaco e salvando tutti.

Poi è arrivato il cinema che delle comete ha abusato, come degli asteroidi, a partire dal poco noto A Fire in the Sky del 1978 per arrivare al notissimo Deep Impact del 1998 prodotto da Spielberg. In quel caso una grossa cometa sta per colpire la Terra e la nave spaziale Messia viene inviata su di essa per farla esplodere. Ma a quel punto fantasia e realtà stavano già per toccarsi.

Nel 2005 la missione Deep Impact (sì, proprio come il film) ha colpito con un proiettile la cometa Tempel 1 per esaminarne i frammenti. Ieri, con l'atterraggio del lander Philae l'esplorazione vera è andata oltre la fantascienza.

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