Cronache

Stupro, coltellate e il corpo scuoiato. La ricostruzione della fine di Pamela

Il legale della ragazza: "Perché i trolley lasciati sulla strada?". La testimone: "Cercava un treno per Roma, poi è salita sul taxi"

Stupro, coltellate e il corpo scuoiato. La ricostruzione della fine di Pamela

«Secondo me c'è stato un tentativo di violenza, poi magari anche riuscito. Pamela ha cercato di difendersi, ma i nigeriani l'hanno tramortita con una botta in testa e poi uccisa con due coltellate al fegato»: è questa l'opinione dell'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro e zio della diciottenne uccisa a Macerata.

Una versione che saranno gli accertamenti medico legali e del Ris a dover confermare o smentire. Cosa certa è che, l'avvocato lo dice senza ombra di dubbio: «Chi ha commesso l'omicidio ha letteralmente scorticato il cadavere, rimuovendo molte parti del tessuto cutaneo, probabilmente per nascondere la verità». Il legale conferma poi le dichiarazioni del procuratore di Macerata Giovanni Giorgio, affermando che «non è vero che mancano organi interni come fegato e cuore», tesi supportata da chi propendeva per l'ipotesi del rito vodoo. La famiglia Mastropietro ha nominato un medico legale di parte. Si tratta di Guido Maria De Mari, professionista che già in passato si è occupato di casi quali il processo Schettino o la morte di Paola Ferri, la donna che fu recuperata in mare nelle acque di Ostia.

«Per adesso - prosegue Verni - ha esaminato il materiale fornito dal professor Cingolani. Alcune parti della pelle rimasta sul cadavere di Pamela sono state sottoposte a esami di laboratorio all'Università La Sapienza di Roma, mentre gli altri resti sono ancora a Macerata. Non abbiamo, invece, ancora notizia degli accertamenti del Ris. So che ci vorranno ancora alcuni giorni». Le domande che si fa l'avvocato sono molteplici. «Perché - si chiede - se i responsabili volevano occultare il cadavere hanno poi abbandonato i trolley con i resti di Pamela dove chiunque li poteva trovare? Oseghale li ha lasciati lì perché qualcun altro sarebbe dovuto passare a prenderli e poi così non è stato? Oppure si tratta di un avvertimento a qualcuno? E nel caso, a chi?».

Intanto, spunta un'altra testimone. Si tratta di un'impiegata della biglietteria della stazione di Macerata, che ricorda di aver visto Pamela poco dopo le 7.34 del 30 gennaio. «Mi ricordo benissimo - ha detto - di quella ragazza con il trolley che faceva rumore. Mi chiese quando era il prossimo treno per Roma e le dissi di attendere le 13 e lei se ne andò». Tornò poco dopo per chiedere di una coincidenza, ma rassegnata da una risposta negativa decise di prendere il taxi che la portò verso l'incontro con Oseghale e la sua fine. Insomma, voleva tornare a casa, ma la roulette russa del destino ha deciso di sparare il suo colpo quel giorno.

Peraltro, risulta che nelle ore in cui Pamela fu uccisa e il suo corpo fatto a pezzi i contatti tra i nigeriani furono moltissimi. Si parla addirittura di 400 messaggi inviati.

«Lasciamo lavorare inquirenti e procura - conclude l'avvocato Verni - e che si prendano pure tutto il tempo necessario per dirci la verità sulla terribile fine di mia nipote». ChG

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