Politica

Amelio sfata il tabù Bettino: "Ma non è un film anti-toghe"

Amelio sfata il tabù Bettino: "Ma non è un film anti-toghe"

Da Checco Zalone al «Cinghialone», come Vittorio Feltri battezzò il leader dei socialisti Bettino Craxi. Folla da evento, ieri, al cinema Adriano a Roma e tutti in ginocchio davanti a Pierfrancesco Favino, che in Hammamet (da oggi in sala), singolare film di Gianni Amelio sull'autunno dell'uomo politico morto vent'anni fa, impressiona per la somiglianza con l'esponente di rilievo del Novecento. Miracoli dei supervisori al silicone, ma gran talento dell'attore, che, oltre calotta e dentiera, imita voce, pronuncia da siciliano con vocali larghe, tono apodittico, postura e movimenti flemmatico-autorevoli del capo dello scomparso Partito socialista italiano. In due ore di racconto sulla «lunga agonia di un uomo di potere» (così il regista), che mescola romanzo e melodramma, va in scena un personaggio scolpito dagli stati d'animo, sullo sfondo degli ulivi di villa Craxi ad Hammamet, concessa dalla famiglia: allegria nei rapporti col nipotino, contagiato dalla passione del Presidente (come lo chiama il regista) per Garibaldi e malinconia per l'Italia lontana. Un film «né politico, né militante», sottolinea l'autore anche sceneggiatore con Alberto Taraglio - attratto dalla figura di «un politico sul quale, da decenni, c'è un silenzio ingiusto e assordante».

La genesi di tale lavoro, che l'amministratore delegato di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, si augura susciti dibattito, parte da lontano. Dall'idea del produttore Agostino Saccà, che voleva un film su Cavour e sul rapporto di lui con sua figlia. Per smarcarsi dall'ipotesi, Amelio l'avrebbe buttata lì: «Perché scomodare Cavour? Potremmo parlare di Craxi e di sua figlia». Idea presa sul serio: in Hammamet il perno narrativo gira sulla dinamica padre-figlia. Un ruolo importante, quello di Anita (Livia Rossi), ribattezzata così «perché i nomi si conoscono troppo» e perché «cercavo di sollevare lo sguardo più in alto», spiega Amelio. «Né Mafalda, né Cesira, ma Anita. Come la Garibaldi», scandisce. C'è Anita che batte a macchina sotto dettatura del padre, malato di diabete, o mentre lo porta in auto dall'amante venuta dall'Italia (Claudia Gerini) e ancora lei, a consulto con il chirurgo tunisino, e lei che batte al finestrino dell'auto, quando il padre ci si blinda dentro: egli non partirà per l'Italia, per farsi operare... Anche Favino ha pensato al rapporto padri-figli. «Craxi aveva un senso di paternità verso l'Italia: amava la bandiera, la nazione. Ho sentito la sua paternità e la leadership che l'ha lasciato solo. Non è compito mio giudicarlo: ho empatizzato con vari aspetti della sua umanità», riflette l'attore, che negli Ottanta del Novecento era un ragazzo «con nel naso la puzza della politica d'una volta, fatta dall'ultima generazione che usava la parola noi e aveva una preparazione specifica». Per calarsi nel ruolo, Favino ha visto e letto ogni documento, subendo cinque ore di trucco giornaliere, «un rituale come nel teatro No giapponese: indossando sopracciglia e occhiali, superavo il ponte verso l'oblio di sé».

L'atmosfera scivolerebbe verso la rarefazione, con Amelio che cita Le catene della colpa di Jacques Tourneur o a Là dove scende il fiume di Anthony Mann - Anna Craxi, moglie di Bettino, ama il cinema western - ma arriva, in teleconferenza da Milano, una domanda di Gianni Barbacetto de Il Fatto quotidiano: «Qual è il rapporto tra realtà e fantasia?». Apriti cielo: da calabrese fumantino, Amelio s'agita. «Non è un film contro i giudici di Mani Pulite, come ha scritto il suo giornale, facendo cattiva informazione con una stroncatura preventiva.

Dica la verità: nel film, non si insulta nessuno».

Commenti