Roma - Il lavoro nei giorni festivi è un tabù sindacale in via di estinzione. I tempi sono cambiati e mettere i busta paga un extra vale il sacrificio. Persino la Cgil, dopo le prime fiammate contro l'apertura dell'outlet di Serravalle nel giorno di Pasqua, ha derubricato la mobilitazione a una protesta per il riconoscimento dello stesso trattamento economico per tutti. I tempi sono cambiati, le abitudini dei consumatori sono mutate profondamente, il grande commercio detta nuovi standard e i lavoratori si adeguano. Uno su cinque non si riposa la domenica. Ogni fine settimana ci sono 4,7 milioni gli italiani che santificano la festa sul posto di lavoro in ufficio, negozio o in fabbrica. In gran parte, 3,4 milioni, sono lavoratori dipendenti, 1,3 milioni sono artigiani, commercianti, esercenti, ambulanti, agricoltori. In proporzione sono proprio questi ad apprezzare maggiormente il lavoro domenicale, praticato da un quarto degli autonomi.
In gran parte, osserva la Cgia di Mestre, lavoreranno anche a Pasqua. La maggior parte dei lavoratori domenicali si concentra nel settore alberghi/ristoranti: i 688.300 lavoratori dipendenti coinvolti incidono sul totale degli occupati dipendenti del settore per il 68,3 per cento. Seguono il commercio (579.000 occupati pari al 29,6 per cento del totale), la Pubblica amministrazione (329.100 dipendenti pari al 25,9 per cento del totale), la sanità (686.300 pari al 23 per cento del totale) e i trasporti (215.600 pari al 22,7 per cento).
La spinta del commercio è dovuta alle liberalizzazioni, in particolare quella degli orari introdotta dal governo Monti, che era «una risposta alla crisi», segnala Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia. Il traino della grande distribuzione ha costretto anche i piccoli ad adeguarsi agli standard degli outlet. Sono 363 giorni lavorati a beneficio del fatturato e anche delle buste paga.
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