Non è mai stata soltanto una provocazione: e se l'Italia davvero non fosse governabile? Il dubbio è antico, come se questa terra incantata e sorprendente andasse avanti sempre per improvvisazione, scontando l'incapacità naturale di andare sopra le parti, le partigianerie, il proprio ombelico. Neppure la tragedia riesce a allargare l'orizzonte. Si parte dicendo che andrà tutto bene, perché bene o male siamo un popolo, e poi si va avanti alla spicciolata, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi,
Adesso lo si può dire: neppure Mario Draghi ci è riuscito e non per colpa sua. Non è un fallimento, ma una fatica quotidiana, come chi deve sempre navigare controvento, con una maggioranza di governo che non riesce a riconoscersi neanche davanti all'emergenza, strabica, diffidente, spesso stralunata. Neppure la guerra è servita a cambiare le cose, a dare consapevolezza. Anzi, l'invasione dell'Ucraina ha reso ancora più plastiche le divisioni, i malumori, lo scetticismo. Qualcuno dirà che questa è la democrazia, solo che davanti a un futuro in fiamme ci si aspettava che quel minimo di visione fosse garantito e invece l'unico domani che si riesce a intravedere è quello elettorale. Il consenso, sembrerà strano a dirsi, non è la misura di tutte le cose. C'è anche la responsabilità di una classe dirigente a garantire la ripresa, non solo economica.
Vi ricordate come è arrivato Draghi a Palazzo Chigi? Era l'ultima speranza, la carta da giocarsi in una situazione che stava diventando sempre più complicata. Il colpo di reni per superare il fatalismo inerme del Conte bis. Draghi era il passo indietro dei partiti, che prendevano atto dell'incapacità politica di trovare una soluzione a quello che stava accadendo. Non è stato scelto un tecnico, ma un personaggio autorevole fuori dai giochi, come si faceva nelle città del tardo medio evo con i capitani di ventura. Qualcosa appunto di eccezionale e perfino rischioso. L'alternativa era andare al voto, ma la maggioranza del Parlamento sosteneva che in quel momento sarebbe stato un passo poco saggio, da incoscienti. Draghi di fatto è stato chiamato per salvare l'Italia. Qualcosa senza dubbio ha fatto, ma il clima politico intorno a lui è completamente cambiato. L'emergenza c'è ancora, ma la fiducia ormai latita.
Draghi lo sa da tempo e non fa nulla per nascondere la sua irritazione. Se non ci fosse stata la guerra avrebbe lasciato senza sensi di colpa Palazzo Chigi. Il gioco che i partiti, tutti i partiti, stanno facendo non gli piace. Non lo sopporta. Si è reso conto dopo la rielezione di Mattarella al Quirinale di essere ostaggio di una situazione senza senso. Quanto davvero credono, perfino nel Pd, nella necessità di far diventare reale il piano di ripresa e resilienza? Questo al di là delle belle parole. C'è mai stato un confronto politico vero sulle riforme da fare? Qualcuno sa che fine abbiano fatto le varie transizioni? Il dubbio è che il Pnrr sia poco più di una sigla cacofonica.
È per questo che Draghi, alla domanda su cosa farà tra un anno, dà una risposta lapidaria: la mia esperienza finisce qui, non tornerò a Palazzo Chigi, Eccolo allora il paradosso. Draghi è partito per salvare l'Italia, ora si sta interrogando su come salvare se stesso dagli italiani.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.