Quando si parla di tasse il pensiero va dritto a quanto ci costa mantenere il sistema pubblico, statale e locale: troppo, è la conclusione scontata. Poi a volte vengono alla ribalta anche i guadagni dei politici, verso i quali il giudizio è ancor più severo, perché corroborato da un senso di fastidio, quando non di rabbia, dal quale sono fatti salvi solo quei pochi leader pro tempore che corteggiano, ricambiati, l'elettore. È così da Tangentopoli o, se si vuole, dal referendum sul finanziamento pubblico, con l'aiuto non marginale de La Casta. Alla base la convinzione che meno ci costano, i politici e le amministrazioni, e meglio è, perché non ci aspettiamo da loro niente di buono, niente di valore, dunque tanto vale risparmiare.
È un pensiero infetto, indegno di una democrazia matura. Un popolo evoluto guarderebbe non solo e non tanto a quanto paga per mantenere il sistema pubblico, dallo stipendio di un'alta carica dello Stato fino all'appalto per rifare un marciapiede. Si interrogherebbe, attraverso un sistema di informazione competente, su cosa gli viene restituito. Quanto lavorano e quanto producono coloro che sono pagati dai contribuenti. Quali opere pubbliche sono realizzate, in che tempi e con che qualità. Il vero interesse dei contribuenti dovrebbe essere non solo pagare meno, ma ricevere il giusto per quello che paga. Ad esempio, in Svezia paghi tanto ma ricevi tanto, negli Usa paghi poco e ricevi poco. Da noi, paghi tanto e ricevi poco. Al centro della scena dovrebbe stare non il gettito, ma la responsabilità della Pubblica amministrazione di usarlo bene, erogando ciò per cui si fa pagare.
Questi sono i giorni della flat tax, che difficilmente vedremo, neppure nelle sue forme annacquate. Non perché non ci siano i soldi, e non ci sono. Non perché fuori dal perimetro costituzionale della progressività, poiché questa può anche stare nei valori assoluti dell'imposizione, per cui un reddito di 50mila pagherebbe sempre e comunque progressivamente più di uno di 40mila che è il motivo per cui l'Iva e le altre imposte indirette non sono impugnate davanti alla Corte. Ricordiamo che nei decenni di alta inflazione i redditi crescevano solo nominalmente e gli scaglioni progressivi di fatto aumentavano il prelievo. Non si farà perché nessun governo si taglierebbe le risorse per le politiche di spesa che fanno consenso, con il miraggio che l'aliquota bassa faccia emergere il nero.
L'unico modo serio di ridurre le tasse sarebbe di dire ai cittadini: abbiamo trovato il modo di rimuovere tanti sprechi e inefficienze, che il prossimo anno potremmo farcela con 50 miliardi in meno di spesa, garantendo le medesime prestazioni, anzi migliorandole. Pertanto, ti chiederemo un contributo fiscale inferiore.
Per un'operazione simile servono competenze tecniche e coraggio politico, insieme a tante leadership diffuse, in grado di attuare e governare le necessarie trasformazioni.Ma non succederà. Dopotutto, i governi precedenti sono caduti per tanti motivi, ma non per non aver fatto la spending review.
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