Sorride: «Io sono ottimista». Si rivolge ai ragazzi che riempiono l'aula magna: «L'euro non è mai stato popolare come adesso». Di più: «Il sostegno alla Ue tocca i valori più alti registrati dall'inizio della crisi». È il momento per togliersi qualche sassolino e allungare una stoccata ai populisti: «Oggi sono coloro che dubitavano ad essere messi in discussione». Gli studenti applaudono, Mario Draghi li saluta, il rettore della Cattolica Franco Anelli si concede una battuta da talk show: «Gli studenti hanno aggiunto a questo diploma la lode».
Prima la laurea honoris causa in economia, poi mezz'ora di lectio magistralis per ripercorrere gli otto anni alla guida della Bce. Un periodo travagliato, fra crisi e critiche. «Ma un policy maker - spiega il presidente della Bce - deve saper decidere. La cosa peggiore è non scegliere. Certo, la conoscenza è fondamentale, ma poi ci vuole coraggio perché non puoi essere sicuro che quello che prevedi si realizzerà».
Cosi, l'eurobanchiere spiega in due parole le scelte compiute: i tassi negativi e l'acquisto di titoli pubblici, il quantitative easing che ha tenuto in piedi la zona euro e l'Italia in questo periodo di tempesta. Del resto si chiama Whatever it takes, il libretto stampato da Largo Gemelli per celebrare l'evento e le parole celeberrime pronunciate a Londra nel 2012: «Faremo tutto il necessario per preservare l'euro».
«Nessuno - riprende Draghi - aveva mai portato gli interessi in zona negativa, entravamo in una terra incognita», e invece la doppia mossa si è rivelata azzeccata. Anzi, decisiva per la sopravvivenza del Vecchio continente.
Conoscenza, coraggio e umiltà, ecco la ricetta del policy maker - così Draghi continua a definirsi fuggendo dal latino - senza perdersi in ragionamenti troppo tecnici o dissertazioni accademiche. «Le stime - spiega il numero uno della Bce - mostrano che le misure introdotte hanno avuto un impatto sostanziale, contribuendo per 2,6 punti alla crescita del Pil nell'area dell'euro fra il 2015 e il 2018 e per 1,3 punti percentuali all'inflazione».
Qualcosa di simile è accaduto anche con la Grecia, con aiuti massicci, pur se è vero che «il popolo ha pagato un prezzo alto». Ma le mortificazioni e le umiliazioni, fa capire Draghi, non sono il frutto delle politiche della Bce ma delle decisioni dell'Eurogruppo.
La sfida è stata vinta sul campo dei diversi scenari europei. Ora ci vorrebbe un passo in più: «Una politica fiscale più attiva», che però non spetta a Francoforte, ma ai governi.
«Dove la politica fiscale ha svolto un ruolo più rilevante - è l'analisi di Draghi - il ritorno alla stabilità dei prezzi è stato più rapido. Negli Stati Uniti, ad esempio, dal 2009 al 2018 il disavanzo primario strutturale è stato in media pari al 3,6 per cento del Pil potenziale, nell'area dell'euro si è registrato un avanzo pari allo 0,5 per cento. È una delle ragioni per cui i tassi hanno potuto risalire più rapidamente negli Stati Uniti, mentre nell'area dell'euro sono bassi o negativi da lungo tempo». In controluce si vede quel che Draghi non esplicita: la Bce ha fatto la sua parte, accollandosi il rischio della navigazione in mare aperto, i paesi europei, a cominciare dalla Germania, avrebbero potuto osare di più.
La platea, che va dall'arcivescovo Mario Delpini all'ex premier Mario Monti, batte le mani con convinzione. Alla festa mancano giusto i banchieri italiani, forse per marcare la distanza dalla politica dei tassi negativi.
«Non è che siamo arrabbiati - se la cava l'amministratore delegato della Banca Popolare di Sondrio Mario Pedranzini, uno dei pochi presenti - è che ci troviamo ad affrontare anche noi una situazione alla quale purtroppo ci stiamo abituando». Meglio restare a casa.
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