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"Testo giusto nei fini, non nel metodo. I giudici hanno troppa discrezionalità"

Il professore: "I reati devono essere sempre definiti: qui non lo sono. Così si rischia che per un'omelia si venga accusati di omofobia"

"Testo giusto nei fini, non nel metodo. I giudici hanno troppa discrezionalità"

L'arrivo del ddl Zan nell'aula del Senato il 13 luglio, voluto dall'asse Pd M5S Leu per un voto al buio che spacca maggioranza e opinione pubblica, è accompagnato dalla rinascita di «Insieme», partito solitario, più pensatoio che numeri e sondaggi. Punto di riferimento intellettuale, garante dal principio, è il professor Stefano Zamagni. L'ex premier Giuseppe Conte ha tentato un avvicinamento che non è finito bene. Al congresso romano dello scorso fine settimana hanno mostrato interesse il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e il laico Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio. «Condivisibile nei fini, sbagliato nel metodo» sintetizza Zamagni parlando del ddl Zan.

Che cosa trova condivisibile di questa legge che spacca il Parlamento?

«Nessuno mette in discussione la necessità di combattere i fenomeni di dileggio discriminazione violenza verso le persone che hanno orientamento sessuale diverso, completando la famosa legge Mancino sui crimini d'odio che aveva lasciato da parte il sesso. Il fine è sacrosanto ma il metodo, cioè la via seguita, è sbagliato».

Che cosa la preoccupa maggiormente?

«Io da cittadino devo sapere se l'atto che vado a compiere è reato oppure no. Un gruppo di costituzionalisti, credenti ma anche no, hanno detto che il testo non regge proprio perché in una legge penale i reati devono essere definiti e invece il livello di discrezionalità dei giudici rimane molto alto».

In molti ne fanno una questione di libertà. L'identità di genere, la possibilità di scegliersi il sesso, non va in questa direzione?

«Questioni di bioetica non possono diventare biogiuridiche senza la mediazione culturale necessaria. Quando si parla di identità di genere non si può far dipendere il genere da una questione individualistica legata al singolo perché chi vive in società sa che ci sono regole che vanno rispettate. Non posso dire: faccio quel che voglio in questa come in altre questioni perché distruggo la coesione sociale. C'è una grande differenza tra libertà e libertarismo».

Perché è a rischio la libertà di espressione?

«Il confine non è tracciato. O la legge determina dove finisce la libertà di espressione e dove inizia il reato o è evidente che succederanno cose simili a ciò che è già accaduto in Spagna, in Canada e nei Paesi dove esistono leggi simili. L'arcivescovo di Valencia, per un'omelia in cui difendeva il matrimonio tra uomo e donna, è stato accusato di omofobia. Se anche poi a processo vieni assolto, resta grave, perché intanto devi prendere un avvocato, incorrere in spese ingenti. Se un rettore di seminario invita un seminarista omosessuale a lasciare il seminario, il seminarista potrebbe denunciarlo».

Molte obiezioni riguardano la libertà d'educazione. Concorda?

«Nelle scuole non può essere lo Stato che decide sull'educazione dei figli minorenni perché per Costituzione tocca alla famiglia. Lo Stato ha la responsabilità dell'istruzione, non dell'educazione. Dalla confusione tra questi due livelli nascono molti equivoci».

Come si spiega la radicalità del segretario del Pd, Enrico Letta, che arriva da un partito popolare?

«Noto che all'interno delle migliori intenzioni iniziali, in corso d'opera il testo è stato strumentalizzato da una parte o dall'altra. Comunque vadano le cose e si concluda la vicenda in Parlamento, non finirà bene. Lascerà strascichi in un caso o nell'altro».

Che cosa pensa del dibattito sulla giustizia? È così malmessa?

«Lo vede anche un cieco che non funziona. Io sfido a trovare un italiano che non sia d'accordo. Ma anche queste tematiche sono merci di contrattazione in cui si perdono di vista principi e valori. Nel dopoguerra non era così. E la scuola? Non possiamo isolare una questione dall'altra perché altrimenti scattano i divieti incrociati. Non è sufficiente riformare la giustizia, dobbiamo trasformarla».

In che senso una riforma non è sufficiente? E i referendum?

«La riforma cambia la forma e lascia immutata la sostanza. È una pezza, come il mastice quando buchi la ruota della bici. La trasformazione è la giustizia che ha come fine il bene comune, non solo punitiva.

I referendum non li ho ancora approfonditi: non si può esprimersi su tutto».

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