I lavori potevano partire. Nell'Italia dei disastri si cerca sempre un colpevole e i giornali, almeno in prima battuta, l'avevano identificato nel Tar e nei cavilli e la giustizia amministrativa. Sarebbero stati i giudici a fermare la messa in sicurezza del torrente Bisagno. Errore: il Tar c'entra ma fino a un certo punto. Il Tar Liguria e il Consiglio di Stato avevano negato la cosiddetta sospensiva. Insomma, si poteva procedere e si potevano spendere i 35 milioni stanziati. Nel labirinto dei tanti, troppi poteri tricolori, nel rimpallo dei veti e controveti, affiora una prima verità. «Già il 24 maggio 2012 il Tar Liguria aveva negato il blocco dei lavori - spiega al Giornale Fabio Mattei, segretario generale dell'associazione nazionale magistrati amministrativi - e qualche mese dopo la stessa linea era stata adottata dal Consiglio di Stato». Anzi, i giudici del Tar sottolineano «che allo stato prevale comunque l'interesse pubblico per il celere avvio delle prestazioni che formano l'oggetto dell'appalto».
Il Tar dunque non si era messo di traverso ma questo naturalmente non significa che andare avanti o, meglio, far partire finalmente gli attesissimi lavori. E infatti a oggi i mezzi meccanici non sono ancora entrati in azione. Il problema, e non è una filastrocca, è che in Italia ogni problema si scinde in altri sottoproblemi che a loro volta rimandano ad altri problemi. In una girandola senza fine di ostacoli. Dunque, il 27 ottobre 2011 il commissario straordinario pubblica sulla Gazzetta comunitaria il bando per la seconda tranche delle opere necessarie a mettere in riga il Bisagno che fa impazzire la città. Partecipano sedici imprese. Dieci, semplificando i perdenti, fanno ricorso e innescano la guerra della carta bollata. Primo grande cortocircuito. A cui segue una seconda complicazione: il commissario non è più quello del primo lotto, che poi sarebbe il governatore Claudio Burlando; no, viene nominato l'ex prefetto di Genova Giuseppe Romano. Che il 24 maggio riceve l'assist dal Tar: può schiacciare l'acceleratore. E qui si entra nel territorio impalpabile della discrezionalità: correre rischiando poi una causa di risarcimento e magari l'ufficiale giudiziario che bussa per portarti via i mobili di casa o aspettare? Romano attende e si ferma insieme ai lavori. Qualche mese dopo, anche il Consiglio di Stato conferma l'orientamento. È bene ingranare la quinta anche se la sentenza del Tar non c'è ancora. Del resto in ballo c'è «l'interesse pubblico alla realizzazione dell'intervento». Tutto facile?
Sulla carta, perché le curve e i tornanti non finiscono mai. E alla fine, fra l'altro in fretta per i nostri standard, il Tar Liguria partorisce finalmente il provvedimento: asfalta il commissario e i vincitori dando ragione agli sconfitti. La domanda di prima potrebbe essere capovolta: cosa avrebbero gridato a quel punto a Romano se si fosse intestardito a dare il via? Ma non è finita, perché il Consiglio di Stato decide di spostare, sul filo della competenza, la partita a Roma e di affidarla al Tar del Lazio. Dove si ricomincia da zero. Colpo di scena: Romano, amareggiato, si dimette e il nuovo commissario diventa, combinazione, il sindaco Marco Doria. Che gestisce la nuova fase processuale: colpo di scena nel colpo di scena il Tar Lazio fa un'altra capriola e dà ragione al commissario. Le motivazioni della sentenza sono del 3 ottobre scorso, dunque di pochi giorni fa. Ma intanto il commissario è cambiato ancora: Renzi sostituisce il sindaco con il governatore. Riecco Burlando che al Giornale dice: «Romano avrebbe potuto dare disco verde alle imprese vincitrici ma avrebbe rischiato, e non poco, di tasca sua. Oggi siamo nelle condizioni di far decollare il progetto.
Per questo ho appena scritto all'avvocatura dello Stato: se mi coprono, se mi danno qualche garanzia, io metto in moto le aziende che aspettano da tre anni». Si attende. Carte e carte bollate corrono, picconi e pale sono sempre immacolati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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