Roma - «Nel 2020 e 2021 è prevista una ripresa della pressione fiscale al 42,7 per cento e un successivo calo al 42,5 per cento alla fine del periodo: la dinamica di crescita dal 2020 sconta gli effetti della prevista attivazione della clausola di salvaguardia». Il Def non avrebbe potuto essere più chiaro: allo stato dell'arte nel 2020 è previsto l'innesco dei 23,1 miliardi di clausole di salvaguardia su Iva e accise di cui viene chiaramente dato conto nell'analisi delle entrate in rapporto al Pil. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, nella prefazione al Documento di economia e finanza, ha confermato questa linea interpretativa. «Il profilo delineato per l'indebitamento netto, anche alla luce degli oneri necessari al rifinanziamento delle cosiddette politiche invariate (missioni di pace, pubblico impiego, investimenti), richiederà l'individuazione di coperture di notevole entità», scrive il titolare del Tesoro aggiungendo che «la legislazione vigente in materia fiscale viene per ora confermata nell'attesa di definire le misure alternative di copertura e di riforma fiscale nel corso dei prossimi mesi, in preparazione della Legge di Bilancio 2020».
Fa tutto parte dell'operazione-verità avviata indicando nello 0,2% l'obiettivo di crescita del Pil per quest'anno. È un chiaro messaggio tanto a Matteo Salvini che a Luigi Di Maio: qualsiasi intervento, con una cambiale tanto esosa in scadenza, necessita di coperture adeguate. Quello che nel Def non si scrive è ciò che l'Fmi ha già in qualche modo sentenziato: se il rapporto debito/Pil, a causa delle spese in deficit, dovesse avviarsi verso il 140%, l'Italia diventerebbe un serio problema a causa dello spread che, a quel punto, sarebbe difficile da tenere sotto controllo. Tria non scrive questo, lo lascia trasparire e in qualche modo si lascia sfuggire un po' di ottimismo. Perché i saldi tendenziali del Def che per quest'anno fanno leva su un 1% di Pil (circa 17,5 miliardi) da privatizzazioni che finora, però, non si sono viste.
È chiaro che la manovra 2020 partirebbe già da 40,5 miliardi se non si dovesse riuscire a dismettere proprietà pubbliche per un importo così mostruoso e, a quel punto, sarebbe necessario toccare il fronte delle entrate sia a livello di Iva che a livello di altre imposte. Con tanti saluti alla flat tax. «Approviamo le intenzioni, ma quello di cui abbiamo bisogno sono misure identificabili credibili e misurabili che penmettano al governo di mantenere le proprie promesse. Questo è quello che vorremmo vedere», ha detto ieri il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, in una conferenza stampa a Washington, preannunciando tempi duri se il governo volesse varare la tassa piatta senza garantirne la sostenibilità. Stesso discorso per il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che ha ricordato come «il debito pubblico va tenuto sotto controllo» in Italia. Insomma, più che a Di Maio e Salvini sembrano messaggi in codice al ministro dell'Economia e al Quirinale.
L'Ufficio parlamentare di Bilancio, Authority indipendente sui conti pubblici, ieri ha ha validato «le previsioni tendenziali per gli anni 2019-2022 trasmesse dal Mef il 22 marzo scorso, in quanto esse si collocano in un intervallo accettabile allo stato delle informazioni attualmente disponibili, pur presentando non trascurabili rischi al ribasso in considerazione dei molteplici fattori di rischio». Non è un caso che nel Def, a seguito della«inattesa e drastica revisione» della crescita futura, il Tesoro abbia alzato all'1,4% il deficit strutturale (al netto dei fattori congiunturali) dello scorso anno.
Il parametro era all'1,1% nell'Aggiornamento del quadro macroeconomico di dicembre e per quest'anno viene rivisto all'1,5% di modo che, al netto dei fattori congiunturali (già prezzati per quasi un decimale di punto), la correzione del deficit strutturale per il 2019 possa considerarsi nulla. Ma si tratta solo di un po' di polvere nascosta sotto il tappeto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.