Roma Il reddito di cittadinanza non potrà che andare anche a cittadini stranieri. Sicuramente a quelli dell'Ue, ma anche a tutti quelli con passaporto di stati non europei, residenti in Italia.
Governo e maggioranza, dopo due giorni di fuoro, hanno cercato di stemperare le polemiche interne dei giorni scorsi. Ma lo stesso Giovanni Tria, rispondendo a question time alla Camera dei deputati, ha dovuto associare al sussidio caro al M5S delle caratteristiche che potrebbero sollevare un altro problema politico.
In realtà il ministro ha fatto emergere un dato di fatto. Ma nel farlo ha citato l'unico progetto concreto di reddito di cittadinanza al momento disponibile, una proposta di legge dei parlamentari pentastellati della scorsa legislatura secondo la quale il sussidio dovrebbe andare a i cittadini italiani, ma anche a stranieri residenti.
Difficile limitare certe misure ai soli italiani, se si rispetta la Costituzione e le norme europee, anche se Matteo Salvini si dice certo «che l'M5s studi una formula intelligente» per soli italiani. L'attuale proposta M5S però estendeva il sussidio anche a cittadini di paesi che hanno un accordo sul welfare con l'Italia. Un po' come già succede con il Reddito di inclusione, riconosciuto ai cittadini Ue, titolari del diritto di soggiorno o cittadini di paesi terzi con permesso di soggiorno di lungo periodo nell'Unione, residenti in Italia da almeno due anni. Per il futuro, comunque, il governo ha la possibilità di «definire altri indici di radicamento territoriale a cui subordinare i benefici di welfare».
Un dettaglio nella grande partita della legge di Bilancio. Ieri, dopo due giorni di fuoco è stata la giornata delle rassicurazioni. Il vicepremier Luigi Di Maio ha detto che i rapporti con Tria sono «pieni di fiducia». Salvini ha escluso «frizioni» con Tria, «andrà tutto bene, badando alla crescita».
Il ministro è stato tiepido sul reddito di cittadinanza. Ha spiegato che sono in corso valutazioni sulla platea degli interessati. Ma ha smentito seccamente le indiscrezioni su aumenti selettivi dell'Iva, confermando l'impegno preso nel giugno scorso con il Def.
Rassicurazioni anche sui conti pubblici. L'esecutivo realizzerà gradualmente le riforme contenute nel contratto di governo, «compatibilmente con le esigenze di garantire l'equilibrio dei saldi strutturali di finanza pubblica».
Un segnale chiaro sul deficit. Il ministro dell'Economia non è disposto a fare lievitare il disavanzo per finanziare le misure volute dalla maggioranza. La linea fissata nei giorni scorsi è quella di un deficit all'1,6% del Pil rispetto allo 0,9% chiesto dall'Europa. Forse all'1,8%, Commissione europea permettendo. Ma anche in questo caso i margini per fare spesa extra, sono risicatissimi. A meno che non si lasci aumentare l'Iva dal 2019.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sostiene Tria nel braccio di ferro con M5S e Lega.
Ieri, il premier ha parlato di «concrete prospettive di riforme strutturali», che dovranno essere limitate nella spesa. «Tracceremo una linea e uscirà un numero, che» peraltro «dovrà dare il segno che stiamo tenendo i conti in ordine». Sottinteso: non sarà il 2/2,5 per cento che vorrebbero i partiti di maggioranza.
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