Trump frena: niente fretta. Ma ora Putin muove le navi

Tempi sempre più incerti per l'attacco contro Assad. Mosca prende precauzioni. «Linea rossa» riattivata

Trump frena: niente fretta. Ma ora Putin muove le navi

Com'è difficile entrare nella testa di Donald Trump. Si diverte con il gioco del gatto col topo, oppure ha solo una gran confusione in testa? Dopo aver annunciato all'amico-nemico Putin con il solito sistema del tweet l'imminente arrivo a portata di tiro della Siria di missili «nuovi, belli e intelligenti», ieri il fumigante leader della Casa Bianca ha deciso (forse per dare un po' di respiro a Wall Street, che ha ringraziato risalendo) di tirare il freno. «Mai detto quando avrebbe avuto luogo un attacco alla Siria. Potrebbe essere molto presto oppure no», ha scritto il presidente americano, che sta facendo impazzire i suoi consiglieri ma pare se non altro in sintonia con il collega francese Macron nel ricordare all'«animale» Assad e ai suoi protettori al Cremlino che l'attacco avrà i tempi e le forme che verranno ritenute opportune.

In assenza di informazioni sostanziate, circolano le più varie ipotesi soprattutto sui tempi, con il Daily Telegraph che arrivava a ipotizzare l'ora X per la notte scorsa. A Mosca, peraltro, hanno pochi dubbi che l'attacco, presto o tardi che sia, avrà luogo in ogni caso. Tanto che - scrivono il Moscow Times e il Kommersant - il ministero russo della Difesa ha chiesto ai colleghi americani del Pentagono le coordinate di questa azione. I giornali russi danno per certo che gli stati maggiori militari di Mosca e Washington si mantengono in contatto per evitare che la situazione sfugga pericolosamente di mano. Oltre a questo, la Turchia (membro della Nato ma sempre più vicina alla Russia) svolgerebbe un ruolo di mediazione direttamente con l'Alleanza Atlantica.

Insomma, esiste un piano pubblico della crisi siriana, fatto di dichiarazioni politiche spesso magniloquenti e di mosse diplomatiche, e uno sotterraneo più riflessivo che riguarda le loro possibili conseguenze militari, con tanto di riattivazione della storica «linea rossa» di comunicazione diretta tra Casa Bianca e Cremlino, un simbolo della vecchia guerra fredda. A mezza strada tra i due piani si muove il segretario alla Difesa Usa James Mattis, che ieri ha assicurato che Washington non ha alcun desiderio di intervenire in Siria, ma che giudica il regime «imperdonabile per l'uso di armi chimiche».

Si sa comunque che Putin ha ordinato alla sua dozzina di navi da guerra - equipaggiate con dispositivi per la guerra elettronica e di difesa antiaerea - di uscire dalla base navale siriana di Tartus per ridurre i rischi di un attacco americano. Appare però estremamente improbabile che Trump pensi di colpire bersagli russi: l'obiettivo, come ha ribadito il suo alleato Macron, è Assad e in particolare la sua capacità di lanciare altri attacchi chimici.

Il tema dei gas usati per «liberare» Douma e restituirla al controllo del regime di Damasco (ufficiale da ieri) non turba solo Trump e i suoi alleati europei, ma anche il «sultano» turco Erdogan. L'ambizioso autocrate di Ankara ha telefonato ieri a Putin per concordare «come metter fine insieme a questo massacro chimico». Erdogan, che odia Assad più di quanto non lo odino Trump o Netanyahu, non intende fare sconti al raìs di Damasco, e tantomeno subire da Mosca l'imposizione di restituirgli il controllo delle aree curde siriane dove ha mandato il suo esercito con il famoso «ramoscello d'ulivo» sulla bocca dei carri armati.

Un problema in più per

Putin, che ne ha però al momento di più seri. Primo fra tutti, superare la tempesta annunciata da Trump sulla Siria mantenendo immutati i suoi asset: truppe russe al loro posto e Assad stabile a Damasco, con o senza gas.

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