Politica

Unioni civili, la battaglia dei sindaci obiettori

Sono in molti, sulla scia delle dichiarazioni di Papa Francesco, i sindaci che rivendicano il diritto all'obiezione di coscienza sulle unioni civili omosessuali: ma secondo la nuova legge non potranno rifiutarsi di celebrarle

Unioni civili, la battaglia dei sindaci obiettori

Sul tema del diritto all’obiezione di coscienza riguardo la celebrazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso si era espresso favorevolmente, in un’intervista rilasciata lunedì scorso al quotidiano cattolico francese La Croix, anche Papa Francesco, il quale, come del resto già fece sul volo di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti, ha ribadito ai giornalisti d’Oltralpe che “il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano”.

Così, in attesa che la legge Cirinnà diventi esecutiva, quello dell’obiezione di coscienza sembra destinato a rimanere uno dei principali temi di scontro. Mentre proprio la senatrice Dem, promotrice della legge sulle unioni civili, ieri attaccava il cardinal Bagnasco, difendendo la “laicità” dello Stato a colpi di art.7 del Concordato, infatti, duecentoventi sindaci leghisti levavano gli scudi per rivendicare, in una lettera, il proprio diritto all’obiezione di coscienza sulle unioni civili omosessuali. “Non si può obbligare una persona a fare ciò che non crede e io non celebrerò mai matrimoni tra persone dello stesso sesso”, tuonava ieri il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, uno dei primi in Italia a sollevare la questione dell’obiezione di coscienza sulla celebrazione delle unioni gay, le cui parole facevano eco all’annuncio del segretario della Lega Lombarda, Paolo Grimoldi, che nei giorni scorsi aveva reso nota la decisione presa dai sindaci leghisti della regione Lombardia, di rifiutarsi in blocco di celebrare questo tipo di unioni.

La posizione dei sindaci leghisti è stata quindi difesa e appoggiata dal segretario del Carroccio, Matteo Salvini, e dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Ma nei fatti, il problema è difficilmente risolvibile perché, il diritto all’obiezione di coscienza non è stato inserito nella legge e dunque sarà impossibile che un primo cittadino possa rifiutarsi di applicare una norma, senza incorrere nel reato di omissione di atti di ufficio. Difficilmente, poi, il problema potrà essere risolto con lo strumento dei decreti attuativi, senza rischiare di incorrere nell’eccesso di delega, e quindi nell'incostituzionalità.

Una previsione di questo tipo dunque, andava, inserita all’interno della legge stessa. E c’era anche chi, come Forza Italia, a questo proposito aveva presentato un emendamento che proponeva l'inserimento della clausola dell’obiezione di coscienza per la celebrazione di unioni civili tra persone dello stesso sesso, “nel rispetto del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione”. “Il nostro emendamento andava verso una soluzione del problema, ma ormai in Italia o ci si allinea al pensiero unico oppure si è fuori, ed è paradossale che una legge che è stata fatta per rispettare le libertà di tutti, poi tutela tutte le libertà tranne quella di pensiero, di coscienza e di religione”, ha affermato uno dei principali firmatari dell’emendamento sull’obiezione di coscienza, presentato durante il dibattito sulla legge Cirinnà alla Camera, il deputato di Forza Italia, Fabrizio Di Stefano, sentito da ilGiornale.it.

“Il problema, inoltre”, prosegue Di Stefano, “non si pone solo per il sindaco, ma anche per il funzionario comunale, perché è il funzionario, nei fatti, a trascrivere l’atto e non può rifiutarsi di applicare la legge”. È per questo motivo che per il deputato azzurro, per i sindaci leghisti, e per molti altri, questa legge presenterebbe profili di incostituzionalità nella misura in cui non rispetta “la libertà di coscienza e di religione”. “Le leggi”, continua Di Stefano, “non devono essere fatte per creare problemi ma per risolverli: in questo caso, invece, la legge crea un problema che è legittimo, poiché se ad un amministratore non è consentito rispondere alla sua coscienza, alle sue convinzioni e alla sua fede religiosa, cosa peraltro sancita dalla Costituzione, è chiaro che si crei un problema di non poco conto”.

Per risolvere la questione quindi, l’unica soluzione sembra essere l’introduzione di una legge ad hoc che disciplini la possibilità per i sindaci di rifiutarsi di celebrare le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Nell’attesa di un provvedimento di questo tipo, l’unica strada che resta agli obiettori, secondo quanto riporta il Corriere della Sera citando Marco Gattuso, magistrato del Tribunale di Bologna, sarebbe delegare qualcun altro. Ma, attenzione, quando il sindaco demanda la celebrazione ad altri, nelle motivazioni non dovrà emergere la propria contrarietà.

Altrimenti, diventa “discriminazione”.

Commenti