"Usano sesso e gossip per ridurre Vatileaks a una gran caciara"

Gianluigi Nuzzi, autore del libro Via Crucis: "Vogliono distogliere l'attenzione dal vero scandalo: gli sprechi della Chiesa"

"Usano sesso e gossip  per ridurre Vatileaks  a una gran caciara"

Rispetto alla prima udienza, Gianluigi Nuzzi ha cambiato cappotto (da quello color cammello è passato a un paltò grigio antracite). Ma il suo umore resta tutt'altro che nero. Sorride. Appare sereno.

Ieri udienza rinviata per dare la possibilità al nuovo avvocato di Francesca Chaouqui di leggere gli atti. Nuova convocazione, il 7 dicembre. Ma non si era detto che il processo si sarebbe chiuso per l'inizio del Giubileo?

«Previsione sbagliata. Devono essere ancora ascoltati imputati e testimoni. I tempi si allungano. Il verdetto non sarà prima di Natale».

Hai avuto finalmente accesso alle «carte» dell'accusa. Che idea ti sei fatta?

«Mi sono rafforzato nella convinzione che contro di me non c'è nulla. Ho solo fatto il mio dovere di cronista. Cosa di cui vado orgoglioso».

Nessun timore, dunque?

«Sì, forse un timore ce l'ho».

Quale?

«Quello che Vatileaks rischi di finire, come dicono a Roma, in caciara».

Ti riferisci al carteggio tra la Chaouqui e monsignor Balda pubblicato ieri integralmente su Repubblica?

«Intercettazioni che non figurano nel mio libro Via Crucis. Dove invece ho pubblicato solo fatti veri e documentati».

Sprechi della casta vaticana, che anche Papa Francesco dice di voler combattere.

«Trovando non poche resistenze».

Quelle stesse «resistenze» che sembrano voler spostare l'attenzione mediatica su chi ha denunciato il malaffare degli intoccabili della Curia, invece di concentrarsi sulle tante mele marce smascherate dal tuo libro-inchiesta.

«Dove - tengo a ribadirlo - non ci sono violazioni di privacy né aspetti pruriginosi, ma solo l'elencazione di circostanze che indignano tutti, a cominciare da quella parte sana della Chiesa, da cui infatti ho ricevuto solidarietà e incoraggiamento».

Eppure rischi, teoricamente, una condanna da 4 a 8 anni.

«Non ho rimpianti. Raccontare che i soldi destinati ai bisognosi finivano altrove non significa certo attentare alla sicurezza dello Stato Vaticano, ma svolgere una meritoria attività giornalistica. Se avranno i coraggio di condannarmi per questo, sono disposto ad andare in galera».

Pericoli che, sicuramente, alcuni nostri colleghi non corrono...

«Ai giornalisti che raccontano la verità, viene ritirato l'accredito in Vaticano. È accaduto anche di recente. Per questi in molti si sono trasformati da cronisti in addetti stampa...».

C'è chi dice che quello che si sta celebrando è un «processo farsa», e che tu alla fine sarai graziato dal Papa.

«Ma io non voglio essere graziato. Voglio essere prosciolto al termine di un iter giudiziario che - se pur connotato da leggi anacronistiche che negano la libertà di stampa - riconosca che io ho fatto solo il mio onesto mestiere di giornalista».

«Per Nuzzi e Fittipaldi non ci sarà alcuna condanna». Un uomo di legge che ha letto gli addebiti mossi contro di voi dal promotore di giustizia, è sicuro di quanto dice. E, dietro garanzia dell'anonimato, ha spiegato al Giornale il senso di un'operazione «giuridicamente insussistente», che però sarebbe «funzionale a un progetto di realpolitik papale» dai contorni suggestivi.

«Cioè? Vorrei capire meglio...».

La nostra fonte, nella sua analisi, parte da una domanda apparentemente ingenua: come mai Papa Francesco, il più «progressista» nella storia della Chiesa, ha ordinato contro Nuzzi e Fittipaldi un processo apparentemente così «oscurantista»?

«Forse perché al Papa è stato, capziosamente, detto che i documenti che dimostrano gli scandali economici in Vaticano erano stati rubati o comunque estorti con operazioni illecite. Cosa ovviamente del tutto falsa. E che infatti non ci è mai stata contestata in sede processuale».

Ma c'è chi ipotizza che potrebbe essere «tutta una finta, un bluff opportunistico». Anche chi conosce a fondo la «strategia d'immagine» di Papa Bergoglio non lo esclude.

«In che senso?».

Nell'anno del Giubileo della Misericordia, non ci sarebbe nulla di più misericordioso, agli occhi del mondo, di graziare i due giornalisti che hanno avuto il merito e la «colpa» (dipende dai punti di vista) di aver scoperchiato il marcio in Vaticano.

«Ripeto. Io la grazia non la chiedo e non la voglio».

Non credi quindi a chi vede un processo decollato volutamente «cattivo» per poi atterrare «buono»?

«No, propendo piuttosto per un piano mirato a bloccare quella commissione Cosea che, per la prima volta, stava cominciando a mettere il becco nel ginepraio del malaffare al di là delle Mura leonine».

Eppure resta il dubbio di un'operazione che, all'interno di una raffinata tattica di «marketing comunicativo», tenda a esaltare ulteriormente la «modernità rivoluzionaria» di un Papa che dopo aver fatto

la faccia truce contro due giornalisti, poi gli sorride. Come farebbe un padre con due figlioli un po' discoli.

«Mi sembra una lettura alquanto dietrologia. Io comunque a fare la statuina nel presepe non ci sto».

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