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La vacanza ai Caraibi che inguaia Boris

Rischio di indagine per un viaggio da 15mila sterline con la fidanzata

La vacanza ai Caraibi che inguaia Boris

Londra Chi ha pagato le vacanze a Boris Johnson e Carry Symonds? Non fossero bastati gli affanni del rimpasto governativo, le fatiche delle negoziazioni con l'Ue, le tensioni con l'alleato americano il primo ministro inglese e la sua fidanzata si devono ora anche giustificare sulle vacanze caraibiche dell'ultimo Capodanno: non si sa chi le abbia pagate.

I fatti: Boris e Carry, dopo l'intenso dicembre politico culminato con la straordinaria vittoria elettorale di Johnson, decidono di concedersi una decina di giorni ai Caraibi, nell'isola di Mustique. Posto ideale per rilassarsi, specialmente se il costo della casa in affitto non è a vostro carico ma di un generoso benefattore. Conto che ammonta a poco meno di 18mila euro. Le spese sarebbero state coperte, secondo quanto ha dichiarato Johnson nel Registro degli Interessi Finanziari dei membri del parlamento, da David Ross, milionario finanziatore di lunga data dei conservatori nonché cofondatore del gigante inglese delle comunicazioni Carphone Warehouse. Che però ha negato, affermando di avere solamente aiutato il primo ministro a trovare una sistemazione. Ma di non avere pagato.

La questione non è solo materiale per i tabloid ma riveste anche rilevanza politica. L'obbligo di rendere pubblici regali e donazioni è fondamentale per assicurare la trasparenza e le relazioni cui sono legati gli uomini politici. Lo ha subito fatto notare il partito laburista che, in un sussulto di pugnace vitalità, mentre è impegnato nel processo per selezionare un nuovo leader (atteso per aprile), ha chiesto al commissario parlamentare che presiede al Registro, Kathryn Stone, di avviare un'indagine per fare chiarezza sul donatore e sulle possibili false dichiarazioni di Johnson. Che ha almeno confermato di avere pagato di tasca propria le altre spese della vacanza. Non è la prima volta che il premier inglese, rinomato per essere poco attento ai dettagli, fa confusione con numeri e ricevute. Nel dicembre del 2018 ha dovuto scusarsi in parlamento per avere dichiarato con ritardo proventi per circa 60mila euro derivanti da libri e articoli. Ad aprile dello scorso anno il comitato che presiede la buona condotta dei parlamentari lo ha trovato distratto nel rendere pubblici tutti i propri guadagni.

Un comportamento reiterato che potrebbe aggravare la sua posizione disciplinare.

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