La vacanza diventa tragedia. Uccide il bebè, poi si impicca

La ragazza, studentessa di ventidue anni, da qualche giorno era sul lago di Bolsena con i suoi genitori. Soffriva di crisi post-parto

La vacanza diventa tragedia. Uccide il bebè, poi si impicca

Ventidue anni lei, cinque mesi appena il suo bimbo. Due embrioni di esistenze: una che avrebbe dovuto e potuto ancora fiorire; l'altra un germoglio da accudire ed amare. Tutto finito, tutto azzerato in una tiepida notte di primavera tra i boschi che circondano il pacioso lago di Bolsena. Omicidio-suicidio, dicono ora gli investigatori. Ciò che si era temuto fin da subito.

A Cecilia Maria Fassine, studentessa austriaca, il viaggio in Italia, la distrazione di una vacanza, la pace, la fuga dal quotidiano, dai fantasmi che avevano cominciato a tormentarla, non è bastato. Nemmeno l'affetto, l'amore, dei genitori che l'aveva accompagnata. Prima a Venezia, poi in Lazio, a Montefiascone (Viterbo). Da qualche giorno alloggiavano in un camping, l'«Amalasunta». Sarebbero ripartiti presto per un'altra tappa, una nuova gita. Quella di venerdì notte, invece, è stata l'ultima. Cecilia ha preso in braccio il bebè, Matteo Arion, alla madre ha detto: «Non dorme, faccio quattro passi per cullarlo. Torno subito». È uscita dal suo bungalow e non si è più vista. I demoni silenziosi, oscuri, subdoli, avevano ormai preso il sopravvento. Avevano deciso per lei che il tormento non fosse più sopportabile.

L'allarme dato dalla madre è scattato sabato mattina. Squadre di carabinieri, vigili del fuoco, Protezione civile hanno battuto palmo a palmo la zona per 24 ore. Il telefonino della ragazza suonava, si è individuata la cella cui era agganciato. Poi è finita anche la batteria. Ieri, intorno alle 11 una squadra di soccorritori ha messo fine alle ricerche con il finale più crudele possibile. Cecilia era morta. Suicida, impiccata ad un albero a d 200 metri dalla riva del lago, non lontano dal campeggio. Una zona selvatica, macchiata da piccole proprietà private, e qualche piccolo appezzamento di terreno coltivato su una collinetta. Il cadavere del piccino giaceva a pochi passi di distanza, nell'erba, coperto con un giacchino. I particolari non servono, nulla aggiungerebbero. L'autopsia dirà se il piccino sia stato ucciso, forse soffocato, o se invece sia morto di stenti dopo un giorno e una notte passati all'addiaccio. Ma non cambia molto. Restano lo sgomento, il raccapriccio. Di fatto, l'indagine, può considerarsi archiviata. Come hanno concluso da subito magistrato e carabinieri. «È una tragedia tristissima - ha sottolineato il colonnello Mauro Conte, comandante provinciale dell'Arma - Dietro questa storia c'è un fatto umano che ha visto anche il coinvolgimento di un minore. L'ipotesi che seguiamo è quella della tragedia personale, che è ricaduta anche sul bambino: ipotizziamo l'omicidio-suicidio». Il pm Chiara Capezzuto è stata ancora più esplicita: «La dinamica più probabile è questa.

Sicuramente escludiamo l'intervento di terzi».

Dunque nessun assassino. Se non quel male di vivere, spesso impercettibile, sottile, infido nemico che si annida oscuro. In questo caso l'avevano definita depressione post parto.

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