La vedova di Fabbri riapre il bar: "Vorrei essere morta anche io"

"Vivo nel rimorso di non aver difeso mio marito Davide"

La vedova di Fabbri riapre il bar: "Vorrei essere morta anche io"

Le tre serrande scure si sono alzate presto ieri mattina al bar Gallo di Riccardina di Budrio. Il traffico sulla provinciale sembrava quello di sempre, il profumo dell'erba che trapunta l'argine dell'Idice anche, ma non basta a far dimenticare che questo è il dodicesimo giorno senza Davide. Fuori è rimasto il lenzuolo con la scritta «Giustizia per Davide»; dentro il bar si prova a riprendere a vivere. O almeno a sopravvivere. Così ha deciso Maria Sirica.

Meno di una settimana fa ha sepolto suo marito, a 52 anni, fra le lacrime e senza un perché. Oggi, dopo che il killer non solo non ha ancora una identità certa, ma è pure tornato ad uccidere ed è ancora in fuga solo, contro uno spiegamento di forze che in Italia si è visto raramente - lei chiede giustizia, chiarezza e velocità nelle indagini. E intanto prepara i primi caffé. Sono per i suoi concittadini che qui sono arrivati dal centro di Budrio per manifestare solidarietà. La comunità si era da subito stretta intorno alla famiglia di Davide Fabbri. Anche le Istituzioni e le associazioni di categoria hanno rinnovato il loro desiderio di supportare la signora. In nome di Davide che era, innanzitutto un uomo per bene e, con il suo locale, un punto di riferimento per il paese. Lei insieme alla sorella e al padre di Fabbri, il signor Franco, ancora titolar dell'attività, ha deciso che oggi era il giorno per ripartire.

Tabacchi, drogheria, gelati, e un piccolo corner con quei salumi che da anni la famiglia preparava nel laboratorio. Ora si riparte, poi si vedrà con che orari, con che impegno. Soprattutto con quali forze. «Sono tre o cinque? Lisci?», respira profondo, i capelli corvini raccolti, la felpa chiara, i pantaloni rossi. Macina, dosatore e bottone. Così, in automatico. Come a sentire meno il dolore. «Ricominciare è dura. L'ho fatto per lui - racconta -: se fosse stato per me, non avrei avuto voglia di andare avanti, ma a darmi forza ci sono anche i molti amici di mio marito». Di quella sera maledetta del 1°aprile ricorda tutto. Ogni istante, perché in ogni notte, ormai da allora senza sonno, la scena le passa davanti mille volte: «Una cosa brutta, brutta, che non auguro a nessuno».

Lei avrebbe voluto avere più coraggio, non limitarsi a rincorre con una scopa quella bestia «con occhi senza pietà, entrata nel nostro negozio per far del male» che suo marito lo aveva già freddato e che ha puntato anche verso di lei la pistola. «Magari avesse ucciso anche me: forse sarebbe stato meglio», dice la donna, lo sguardo rivolto ad una fotografia di Fabbri, poggiata sul bancone.

«Senza di lui non sarà mai più vita, ma proviamo a tornare alla normalità.

Però scandisce la signora - vogliamo giustizia, perché quell'assassino non faccia dell'altro male e perché nessuno passi ancora quello che stiamo passando noi e la famiglia dell'altro uomo ucciso dopo Davide», trova la forza di ripetere. Lo sguardo fondo e triste, il caffè pronto, da poggiare sul banco.

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