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Venezia (solo) ai veneziani. E i negozi storici muoiono

Senza i turisti, già chiuse centinaia di botteghe "Non riusciamo nemmeno a vendere l'attività"

Venezia (solo) ai veneziani. E i negozi storici muoiono

Venezia Arriviamo a Venezia che è mattina. Ad attenderci Elisabetta Scarpa, veneziana doc che con il marito Francesco Bortolato gestiva il vecchio «biavarol». Un punto per i veneziani. Un'oasi di riferimento. Un ritrovo. Una storia lunga oltre un secolo, 113 anni. Elisabetta Scarpa con suo marito vive qui accanto all'Arsenale e all'incrocio tra campo San Martin e Rio dell'Arsenal, sta la loro vecchia bottega. Biavarol significa «biadaiuolo», da biada: cereale. Ma da ottobre scorso, la loro bottega è chiusa. Lei ha 60 anni. Lui 63 ed è in pensione. Hanno due figlie. Sara, 35 anni, che fa il medico. E Lisa che di anni ne ha 29 e fa la fisioterapista. Sara ci viene incontro, ha due gemelli. Belli. Di tre mesi. Sembrano due batuffoli. In questo locale ora con le saracinesche abbassate ci sono passati veneziani e turisti dal 1907. Un grosso indotto data la vicina presenza dell'Arsenale, della Biennale. E di manifestazioni come il Salone Nautico. «Avevamo deciso di chiudere racconta Elisabetta Scarpa al raggiungimento della pensione di mio marito. Non perché non ci sia lavoro anzi, ma ora vado in pensione anch'io e ci godiamo i nipoti. Vogliamo vendere, ma ci vuole qualcuno che se ne intenda. È da aprile che cerchiamo e abbiamo trovato solo stranieri». A farsi avanti indiani, cinesi. Ma questa è un'arte. Il contatto con le persone, il saper scegliere i prodotti. Il sentirsi parte di una comunità. Il poter dire «ti lascio le chiavi, passa mio figlio dopo a prenderle».

È così Venezia, soprattutto ora, piena di veneziani. «Abbiamo iniziato qui nel 1985 racconta ma già dal 1907 c'era una latteria. Poi col tempo abbiamo iniziato a vendere detersivi, formaggi, salumi. Era un punto di riferimento, sa quante persone si davano appuntamento in negozio per scambiare due parole? Questi negozi servono alla società. Con questo negozietto abbiamo comprato casa a Venezia, abbiamo fatto studiare due figlie. Veniamo da 42 anni di esperienza. Ma ora a far la spesa si va nei vari supermarket delle grandi catene spuntati in giro». Già a Venezia hanno fatto supermercati perfino dentro i vecchi teatri. A fine '800 qui c'erano una cantina e un sali e tabacchi. Poi il palazzo venne demolito. E nel 1907 ricostruito. «Nel 1985 siamo subentrati al vecchio titolare in affitto. E nel 1997 a scadenza del contratto la proprietaria ci ha detto o uscite o comprate. Abbiamo comprato, due figlie piccole, ma abbiamo fatto un sacrificio. Per cinque anni non abbiamo fatto ferie. E ora piange il cuore, perché non troviamo nessuno». Un antico mestiere che a Venezia sta scomparendo. In un intersecarsi di calle e callette, passando per Riva degli Schiavoni, attraversando una Piazza San Marco vuota, insolita, deserta, avvenente, Elisabetta ci conduce in campo San Luca. Qui in un ufficio ci sta una mappa della vecchia Sarlea, società associazione rivenditori latte e affini fondata da Mussolini. Poi diventata Arlea che non esiste più. La mappa mostra tutte le latterie di Venezia ora scomparse. Ogni punto rosso è un morto. La punta massima nel 1960 con 211, e poi via via sempre più scemando. Fino a poco tempo fa ce n'era una a Rialto. Di negozi alimentari ora ce ne saranno 40. «I negozi di vicinato dice Angelo Varagnolo delegato Colav alimentaristi - sono serviti nel primo lockdown. Ora la gente è tornata a comprare nei supermercati. I supermercati hanno ucciso tutto». Usciamo dall'ufficio. Ci sono negozietti chiusi. Svendesi, vendesi, cedesi attività.

Non li ammazza solo il Covid.

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