Leggi il settimanale

Verdini rischia undici anni per il crac della sua banca

Requisitoria dei pm con toni da comizio per il caso Credito cooperativo fiorentino e i fondi per l'editoria

Verdini rischia undici anni per il crac della sua banca

Undici anni di reclusione: la richiesta dell'accusa per Denis Verdini, arrivata al termine di una requisitoria fiume durata cinque udienze, è pesantissima.

Ad avanzarla, i pubblici ministeri della Procura di Firenze - Luca Turco e Giuseppina Mione - che hanno istruito il processo sul crac della banca Credito Cooperativo Fiorentino e per le presunte truffe allo Stato nei contributi dell'editoria. Che hanno anche chiesto condanne di 9 anni ciascuno per i costruttori Riccardo Fusi (che ha ironizzato: «È andata anche bene, pensavo mi volessero dare l'ergastolo») e Roberto Bartolomei, e 6 anni per l'onorevole di Ala Massimo Parisi. Altre pene fra 5 e 6 anni per la governance della banca a vari imputati. Il senatore di Ala Verdini, che è stato diligentemente presente a tutte le udienze, ieri non era in aula per impegni parlamentari. Le accuse di cui deve rispondere Verdini, che per vent'anni - dal 1990 al 2010 - ha guidato la banca di Campi Bisenzio, sono di associazione a delinquere, bancarotta e truffa ai danni dello Stato per i contributi pubblici ricevuti dal Giornale della Toscana e da Metropoli Day.

La requisitoria dei pm ha avuto toni da invettiva: «Sosterremo che lei è un truffatore che ha fatto carte false per acquisire i contributi per l'editoria. Il nostro mestiere è attribuire colpe. E lei, Verdini, ha rovinato una banca, piccola ma importante», ha tuonato il pm Turco. La collega Giuseppina Mione ha invece illustrato al tribunale di Firenze i meccanismi per cui si sarebbe configurata una «vasta truffa allo Stato» sui contributi all'editoria tramite un «gruppo societario di fatto», con società e cooperative strumentali a un più generale «disegno criminoso». Una «costellazione di società di servizi specializzate in grafica, pubblicità, agenzia stampa, radio e altro ha spiegato costituivano un gruppo societario di fatto che faceva riferimento a Verdini e dove le società service operavano quasi esclusivamente per la Ste e la Sette Mari». In questo modo, ha continuato Mione, «nel gruppo di Verdini si realizzava una conduzione unitaria per raggiungere fini più importanti, economici, finanziari e fiscali, sia per rappresentare all'esterno una base con cui giustificare la richiesta di contributi per l'editoria». Secondo la pm ci sarebbero «elementi fattuali che dimostrano che in capo a Verdini, e anche all'onorevole Massimo Parisi, si costituì un gruppo societario affaristico, strumento per drenare risorse pubbliche».

Nel suo interrogatorio, che risale ad aprile, Verdini si è difeso confutando punto per punto le accuse: «Sono stato descritto come un piccolo diavolo, ma ho sempre agito correttamente e nel rispetto delle norme». E a norma di legge è stata gestita anche la vicenda dei finanziamenti al Giornale della Toscana, ha ricordato: in base ad un provvedimento varato nel 2001, infatti, i periodici editati da una cooperativa potevano avere accesso a finanziamenti pubblici.

Un meccanismo, ha ricordato Verdini, che venne utilizzato da decine di altre testate, anche prestigiose, in Italia. Nel 2002, con versamento di quote da parte di tutti i soci, fu costituita una cooperativa («falsa», secondo i pm) anche per il Giornale della Toscana.

«Ho sempre avuto una grande passione per l'editoria, ben sapendo che nessuno al mondo può guadagnare in questo settore. E sono orgoglioso di aver aiutato a diventare giornalisti molti di coloro che scrivono oggi». Ora la parola alla difesa, poi spetterà al tribunale decidere.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica