La verità della superteste: «Ho visto Yara con Bossetti»

Processo sempre più rovente. E la moglie del muratore ammette: «Anch'io facevo ricerche osè sul pc di casa»

Andrea AcquaroneIn tribunale a Bergamo, stavolta, ad alzare la voce è proprio lui, Massimo Bossetti. «Adesso basta, è intollerabile». Troppo osé lo sfondo, decisamente imbarazzanti le questioni, intime le domande. Si parla di computer, ricerche «particolari», siti a luci rosse.A testimoniare, a provare a difenderlo a costo di svelare il proprio inconfessabile privato, c'è sua moglie. La madre Ester Arzuffi, la donna «infedele» che ha sempre taciuto sulla vera paternità del propri figli, rinuncia. Avvalendosi della facoltà di non rispondere.Giornata urticante, infinita, da scoprire e pungere i nervi, quella di ieri, per il muratore di Mapello accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio.A aprire le ostilità la supertestimone un po' tardiva: Alma Azzolin, casalinga di Trescore Balneario (Bergamo) che solo dopo l'arresto dell'imputato, nel giugno 2014, ricordò di averlo visto con la vittima a bordo di una station wagon grigia nel parcheggio del cimitero di Brembate una mattina di fine agosto o inizio settembre 2010, ovvero tre mesi prima del delitto. Una reminiscenza o una suggestione (come sostiene la difesa del carpentiere)?«Notai quella ragazzina con i capelli mossi e l'apparecchio ai denti salire sulla macchina», ribadisce Azzolin in aula. Spiegando che quel giorno come ogni martedì stava aspettando sua figlia e aveva parcheggiato negli spazi fuori dal camposanto davanti alla palestra frequentata da Yara. Una station wagon grigia (come quella di Bossetti) si dfermò vicino alla sua. «Rimasi impressionata dall'uomo che la guidava perché aveva gli occhi chiarissimi, come quelli di una volpe, e mi fissava». «Proprio in quel momento arrivò una ragazza che avrà avuto 13, 14 o 15 anni, indossava una maglietta rosa scuro, salmone scuro e aveva le gambe scoperte, ma non ricordo che pantalonci avesse. Lei - aggiunge la donna - aveva i capelli lunghi: è arrivata correndo e poi è salita in auto». La testimone avrebbe reincontrato Bossetti qualche giorno dopo al supermercato Eurospin di Brembate. E, adesso, non ha dubbi nel riconoscerlo, davanti ai giudici: «È lui. E per me la ragazzina era Yara».Punto a vantaggio di un'accusa che, però, rischia di perdere credibilità su una questione non secondaria. Ovvero i metodi. È un collaboratore di giustizia, per un certo periodo rinchiuso con Bossetti nella sezione «protetti» del carcere di Gleno, ad ammettere di aver ricevuto «pressioni» da parte di un'altro detenuto. Tutto per incastrare il muratore. «Loredano Busatta mi voleva convincere a dire quello che non sapevo per avere in me un supporto maggiore alle dichiarazioni che aveva reso al pm Ruggeri. Lui aveva raccontato che Bossetti gli avesse confessato di essere il colpevole dell'omicidio di Yara». In quest'interminabile sciarada, fatta di accuse, rimpalli e contro accuse il ruolo più scomodo tocca a Marita Comi, moglie e madre dei figli di ex «Ignoto 1». Del resto lei sapeva dal primo giorno che sarebbe finita così. Lo aveva preannunciato, a pochi giorni dall'arresto del marito. «Verrò spogliata in aula». E così davanti alla Corte d'Assise, ieri, ha sminuito le «perversioni» del marito rivelando di aver fatto ricerche a sfondo sessuale sul pC sia «insieme» a Massimo che «da sola».

«Ma mai inserendo la parola 13enni. Quando digitavo, cercavo altre cose. Lo facevo sia alla mattina che al pomeriggio e alla sera tardi insieme a Massimo». Nulla di male, se non ci fosse di mezzo un delitto senza ancora un perché.

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