Il percorso dalle tasche degli italiani all'aiuto ai terremotati in teoria sarebbe lineare. Nella pratica c'è ampio spazio per discrezionalità politica sulla destinazione dei soldi, abbastanza da far nascere casi come quello denunciato dal Giornale. Era chiaro da tempo che l'Sms solidale potesse essere un potente strumento per sollecitare la generosità degli italiani di fronte alle catastrofi che tormentano il Paese. Così nel 2014 la Protezione civile stipula un protocollo d'intesa con i principali attori della comunicazione, dalla Rai a Mediaset, da Tim a Vodafone, per permettere di attivare in tempi rapidissimi e pubblicizzare il numero dell'Sms solidale che, nel caso del terremoto del Centro Italia, era il 45500. Mandando un messaggio a quel numero, i donatori autorizzano la compagnia telefonica a scalare 2 euro dal credito telefonico.
Alla fine della campagna di raccolta dei fondi, le compagnie fanno il conto di quanto è stato davvero versato (verificando ad esempio che chi ha inviato il messaggio abbia credito sufficiente) e girano la somma corrispondente su un conto dedicato sotto la sorveglianza della Protezione civile. Il protocollo d'Intesa specifica che la raccolta «non comporta oneri né vantaggi economici» né per la Protezione civile né per gli operatori telefonici e della comunicazione.
L'inghippo spunta nel passaggio successivo: a indicare quali opere vanno finanziate sono le Regioni colpite dal sisma, coordinandosi con il Commissario per l'emergenza terremoto, sul cui bilancio affluirà il denaro.
La Protezione civile istituisce un Comitato di garanti «composto da personalità di indiscussa e riconosciuta moralità e indipendenza» per sorvegliare, ma è un controllo formale. La scelta delle singole opere è tutta politica.GiMa
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