Vilipendio, la sfida di Storace «Pronto ad andare in carcere»

Roma Non vuole la prescrizione ed è pronto ad andare in carcere se la sua condanna per vilipendio del capo dello Stato diventerà definitiva. Francesco Storace ha deciso di protestare così contro quello che definisce un «reato di casta», che i politici non si decidono a cancellare. E si prepara ad affrontare il processo d'appello, il 13 gennaio, dopo che ha chiesto al suo avvocato, Giosuè Naso, di rinunciare alla prescrizione.«Non rinuncio a una battaglia confidando sul fattore tempo: la prescrizione riservatela ai delinquenti», scrive il leader de La Destra su Facebook. Storace vuole tornare in aula e aspettare che un altro giudice si pronunci su quell'«indegno» rivolto nel 2007 all'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando denunciò l'uso spregiudicato del voto dei senatori a vita per il governo Prodi. In primo grado era stato condannato a sei mesi di reclusione, seppur con il riconoscimento delle attenuanti generiche per aver poi chiesto scusa al capo dello Stato e con la sospensione della pena. Avrebbe potuto aspettare che tutto finisse in archivio per sopraggiunta prescrizione, Storace, ma non ha voluto. Ha preferito andare fino in fondo per protestare contro il «vilipendio di casta». Ed è pronto anche ad andare in galera se sarà necessario. «A gennaio - spiega il vicepresidente del consiglio regionale del Lazio in un post - si dovrebbe svolgere il processo d'appello sul caso Napolitano. Gennaio 2016 potrebbe essere la tomba con conseguente prescrizione, ma ho chiesto alla mia difesa di formalizzare la rinuncia alla prescrizione». E poi la frecciata finale: «Se la Boldrini e i deputati, opposizione compresa, dormono e non cancellano un reato di casta, è giusta la galera se sarà incredibilmente confermata in via definitiva la pena».

L'aggettivo che gli è costato il processo Storace è comunque tornato ad usarlo su Twitter, dove scrive: «Napolitano per il sì al referendum Renzi sulle riforme. Indegnamente voteremo no anche contro chi ha negato la sovranità popolare all'Italia». PaTa

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