Visitato dai ladri 28 volte «Così ho vinto la guerra»

Fili invisibili, inferriate, allarmi, telecamere. E revolver. "Spesso ho pensato: sparo e nascondo la salma. Ma non c'è posto al mondo dove puoi buttare un cristiano"

Visitato dai ladri 28 volte «Così ho vinto la guerra»

Bollettino di guerra numero 225 del 6 febbraio 2015, cioè un giorno qualsiasi, diramato dalla Regione Veneto attraverso Avn, la sua agenzia di notizie: «A San Donà mamma sequestrata dai ladri che ha trovato in casa; a Chioggia assalto a una sala giochi con le pistole spianate; un giovane a Mestre aggredito, malmenato e rapinato; tentato assalto al Bancomat di Fiesso d'Artico; a Sottomarina la scuola materna assaltata per la quarta volta in pochi mesi; a Concordia Sagittaria un cittadino trova una ladra in camera da letto, la blocca e lei urla che la vuole violentare; a Campolongo e Campagna Lupia quattro furti in abitazioni; quattro tentativi di furto a Jesolo e San Donà; maxicolpo da Dolce & Gabbana con un'auto ariete a Padova; ad Agna i proprietari si trovano i ladri in casa mentre dormono; a Treviso, oltre al tragico record dei 27 assalti subiti da una sola famiglia a Zero Branco, viene svaligiato il Centro Creativo di Oderzo. Dopo Canizzano, anche il quartiere trevigiano di Sant'Angelo vuole organizzarsi in ronde; a Thiene nel 2014 si sono registrati 238 reati; a Valdagno c'è paura per i troppi assalti alle ville». Conclusione del governatore Luca Zaia: «Nessun morto. Nessun ferito. Ci è andata bene».

Ed eccolo qua Lorenzo Danieli, 46 anni, il capofamiglia del «tragico record» (probabilmente unico in Italia), visitato in casa propria dai ladri 27 volte dal 2004 a oggi, anzi 28 se si conta un episodio accaduto in una precedente abitazione. Lui nel quartiere Canizzano di Treviso ci è nato, nel 1968, e ci ha vissuto fino al 1995, quando s'è sposato con Elisabetta De Benetti. «Per rendere l'idea: lasciavo la chiave della porta d'ingresso nella toppa, tornavo alle 4 di mattina ed era tutto tranquillo, mai successo nulla». Attualmente la situazione del rione Canizzano è la seguente. Pochi giorni fa, una signora ha notato quattro malviventi che saltavano la recinzione di un cortile. Uscita in strada, ha visto una Alfa 147 che era già stata depredata dei quattro pneumatici e dei paraurti. La donna s'è messa a suonare tutti i campanelli delle abitazioni. In breve si è radunata in strada una folla. Chi brandiva chiavi inglesi, chi mestoli, chi scope. I banditi, gente dell'Est, sono riusciti a fuggire in auto solo perché hanno cercato di mettere sotto i cittadini inferociti.

Il primo tentativo d'intrusione Danieli lo subì nel 1997. «Allora abitavamo ancora con i miei suoceri. Era febbraio. In piena notte sento vibrare i muri. Oddio, il terremoto! Invece era mio suocero che scuoteva come un ossesso la lunga ringhiera del poggiolo per mettere in fuga quattro ladri. Per me è stato come venir catapultato in un altro mondo». Diplomato al liceo artistico, autista dell'azienda di trasporto pubblico provinciale, dal 1999 abita a Sant'Alberto, frazione di Zero Branco, 13 chilometri da Treviso. Con molti sacrifici s'è costruito una villetta al numero 40 di via Aldo Moro, in una lottizzazione dove vivono una trentina di famiglie. Superato il cancello scorrevole, s'incontrano un parcheggio e il salone della moglie, parrucchiera. L'altra metà dell'edificio è occupata dall'abitazione, circondata da un giardino alberato. Inferriate dalle punte a lancia separano pubblico e privato. Grate e chiavistelli proteggono le finestre al pianterreno e la porta d'ingresso. Sirena con lampeggiante in bella vista. Telecamere, rilevatori passivi agli infrarossi, sensori volumetrici. Lo stuoino sull'uscio suona beffardo: «You are welcome», siete benvenuti.

I muri sono suoi?

«Sì. Allora facevo il carrozziere e arrotondavo di notte con il soccorso stradale Aci per non chiedere il mutuo in banca».

Ha figli?

«Uno, Manuel, 15 anni. Ne aveva appena 4 quando cominciò l'incubo. Secondo me ne ha risentito».

In che senso?

«È un po' taciturno. Nel 2004, al primo assalto in questa casa, aveva iniziato da pochi giorni a dormire nella sua cameretta. Non sentendoci più al sicuro, l'abbiamo tenuto nel nostro letto fino ai 9 anni».

Prima questa zona com'era?

«Tranquillissima. Abolite le frontiere con gli accordi di Schengen e finita la guerra in Bosnia, c'è stato l'esodo degli slavi. Il parroco di Badoere ha cominciato ad accoglierli. Quasi tutti trovavano lavoro nell'edilizia. Così hanno imparato a conoscere i punti vulnerabili delle abitazioni».

Mi racconti della prima incursione.

«Era gennaio. Saranno state le 2. Le camere si trovano al primo piano. Non avevo ancora messo le inferriate alle finestre. Scatta l'allarme. Dal combinatore vedo che è stato forzato uno dei serramenti. Faccio il giro per controllarli. Arrivato alla portafinestra dell'ingresso, sento freddo ai piedi. C'era della segatura per terra: avevano forato il legno con il trapano. Chiamai i carabinieri e cercai di tranquillizzare mia moglie dicendole che, in base alle leggi della statistica, i ladri non sarebbero più ritornati».

Invece?

«La notte seguente, alle 4, sento di nuovo dei rumori. Scendo e trovo la serratura scalfita: stavano smontando il blocchetto. I carabinieri dissero: “Ci vorrebbe una sorveglianza notturna”. Replicai: non mi sembra il caso. Mi dispiaceva caricarli di questo peso».

E poi?

«Ho smesso di dormire. Ho pensato che qualcuno ce l'avesse con me. Volevo scoprire chi fosse. Perciò mi appisolavo sul divano al pianterreno, con un bastone accanto. Passano due giorni. Solito trambusto: stavano forzando la finestra del salone. A quel punto ho detto ai carabinieri: è meglio che questa ronda la facciate. Risposta: “Ma che cos'ha capito? Possiamo solo metterla in contatto con un istituto di vigilanza”».

Ah, ecco.

«Il giorno dopo s'è presentato un signore della Templar, investigazioni private, con un preventivo: 800 euro al mese per gli appostamenti notturni che avrebbero dovuto individuare i balordi. E chi poteva permettersi una spesa simile? Gliela faccio breve: nei primi due mesi del 2004 i ladri si sono ripresentati 15 volte».

Che cosa le hanno portato via?

«Niente. Non sono mai riusciti a entrare in casa. Ho vinto io. Ed è stato un vero sollievo, mi creda, constatare in seguito che andavano anche dai vicini. Avevo paura di passare per paranoico».

Non lo è.

«Facendo la sentinella, m'è pure capitato di sventare qualche furto nelle case altrui. D'estate dormivo nel capanno degli attrezzi con il walkie-talkie della Chicco incollato all'orecchio».

Per udire eventualmente il pianto di suo figlio in camera?

«No, il glen glon dell'allarme che suona solo all'interno. Mai usata la sirena: volevo coglierli sul fatto, guardarli in faccia. Una notte ne ho visto uno che armeggiava intorno al garage di un vicino. L'ho messo in fuga e ho svegliato il proprietario della casa, che s'è affacciato assonnato. Lo sa che cosa mi ha detto? “Vabbè, domattina controllerò la serratura. Ma la prossima volta, per favore, avvisami alle 7”. Mi sono cascate le braccia».

In che modo ha vinto la guerra?

«Per tappe. All'inizio stendevo in giardino fili di nylon, invisibili al buio, nei quali i ladri inciampavano facendo cadere oggetti che provocavano rumore, tipo bottiglie. Poi ho ordinato a mio cognato, che installa serramenti, grate per le finestre e chiavistelli per le imposte. Quindi sono passato all'elettronica. Impianto d'allarme esterno e interno. Luci che si accendono in giardino se viene rilevata una presenza. Telecamere e videoregistratore. Ho imparato che i cavi devono essere schermati e non possono correre lungo le grondaie: il rame disturba le immagini».

Ma a che le servono i filmati, scusi?

«A vedere in faccia i brutti ceffi e a capire da che porta devo uscire per affrontarli».

Lei li ha affrontati?

«Certo. Alla decima volta. Erano in quattro, extracomunitari, scarpe da ginnastica e maglioncino, nonostante i 5 gradi sottozero. Nella foga mi ero dimenticato il bastone in casa. Gli ho tirato dietro alcuni cubetti di cemento, urlando in dialetto: sio ancora qua? basta! Uno dei quattro ha fatto dietrofront e mi ha sibilato: “Torna a letto”. È stata l'umiliazione più grande. Un senso d'impotenza, una rabbia... Se avessi avuto la pistola, gliel'avrei scaricata addosso, giuro. Da allora ho capito che una mazza da baseball non basta».

Ci vuole un'arma.

«Esatto. Sono andato da Regina, a Conegliano, e mi sono comprato una Taurus brasiliana, imitazione della Beretta calibro 9. M'è costata 700 euro. Più 146 euro di tiri obbligatori al poligono, più altri 200 euro fra visite mediche, marche da bollo e certificati. In questura, prima di rilasciarmi il porto d'armi, mi hanno chiesto: “A che le serve il revolver?”. A farmi coraggio, ho risposto. “Va bene, ma non lo usi mai. Se spara, si mangia la casa per pagare gli avvocati”».

Già, ne sa qualcosa il benzinaio Graziano Stacchio, che nel Vicentino ha ammazzato con il fucile da caccia un giostraio durante una rapina.

«Solo io posso capire che brivido deve aver provato in quei frangenti. La paura ti frena, ma la tensione ti spinge ad agire. In un paio di occasioni ho inseguito i ladri con la pistola in pugno».

Non può.

«Eh, lo so. Le dico di più: la seconda volta avevo anche armato il percussore. Quando sono arrivati i carabinieri, mi hanno intimato: “Vada a mettere via il ferro”. Ho rinchiuso la Taurus in cassaforte. Abbiamo compilato il solito verbale. Dopo mezz'ora che i militari se n'erano andati, è scattato l'allarme all'asilo delle suore: i predatori si sono portati via tutta la carne dalla cella frigorifera».

Ha pensato a quando usare l'arma?

«Non sparo per primo. Rispondo al fuoco solo se sono in pericolo di vita».

Mirando alle gambe o al petto?

«Dipende dalla vicinanza. Se uno cerca di colpirti, gli spari addosso. Non c'è gamba o mezza gamba che tenga».

Commento di Pierdamiano Savioli su Leggo.it, riferito alla sua pistola: «Usala pure senza paura, poi una buca nei campi e fine».

«Più facile a dirsi che a farsi. Ci ho riflettuto tante volte, sa? Vedevo la mia famiglia terrorizzata, i carabinieri impotenti e mi dicevo: alla più disperata, infilo il cadavere nel carrello appendice dell'auto e lo scarico da qualche parte. Ma dove? Non c'è posto al mondo in cui tu possa sbarazzarti di un cristiano».

Lei è un buon cristiano?

«Sì, infatti subito dopo mi pentivo. Ho ragionato a lungo sulla condizione degli stranieri in Italia. È il sistema che li porta a delinquere. Non vi è certezza della pena. Che cosa può accadergli di brutto? Niente. Se li arrestano, alla sera sono già liberi. Loro lo sanno bene, per questo agiscono con spavalderia. I carabinieri sono rimasti acquattati nell'erba tutta la notte qua fuori, con le tute mimetiche, armi in pugno, per acciuffarne uno solo. Era un giostraio di Cavarzere».

Un veneto.

«In base alle facce nei filmati che ho registrato, ho stilato una tipologia dei ladri. Sono immigrati dell'Est, zingari minorenni, balordi locali. Nel 2005 a Preganziol è stato denunciato un direttore di banca che segnalava agli slavi le vittime potenziali. La filiera è lunga».

Che consigli darebbe a chi abita in una casa isolata?

«Illuminare bene la proprietà: ho visto con i miei occhi i ladri oscurare le lampade del giardino con i panni che erano stesi all'aperto e con lo zerbino, in modo da crearsi il favore delle tenebre. Stare in guardia soprattutto alla vigilia delle festività natalizie: albanesi e rumeni non possono tornare a casa a mani vuote, devono dimostrare che in Italia hanno fatto fortuna».

Un cane serve?

«Nel 2005, su consiglio del dottor Claudio Di Paola, dirigente della squadra mobile di Treviso, mi ero preso un rottweiler, Toby, da tenere in casa la notte. Ma era troppo aggressivo. Sua madre aveva azzannato al volto l'amico che me lo regalò: 70 punti di sutura. L'ho dato via piangendo, dopo che stava per attaccarmi mentre gli portavo il cibo al buio. Se l'è preso il proprietario di un vigneto per accoppiarlo con la femmina che già possedeva. Al primo giorno la poverina aveva le orecchie sfrangiate a morsi».

E adesso?

«Ho una pincher, Stella. A volte piscia in salone, ma è come le oche del Campidoglio: al minimo rumore, abbaia e corre alla porta facendo scattare l'allarme».

Che pena massima darebbe ai ladri?

«Siccome ci ha pensato il decreto svuota carceri a farli uscire, li metterei a studiare nelle scuole. Lezioni forzate dalle 7 di sera alle 7 di mattina. Tanto sono già abituati a stare svegli di notte, no?».

(742. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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