Non abbiamo alcuna intenzione di criticare Papa Francesco. Non sarebbe gentile e neppure opportuno, dato che mezzo mondo lo ascolta probabilmente con qualche ragione. Non è lui che ci preoccupa, bensì il suo interlocutore principale: Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica.
Il capo della cristianità e il giornalista barbuto hanno preso l'abitudine di parlarsi. E fin qui sono affari loro. Nulla da obiettare, ci mancherebbe altro. Anzi, fa piacere che il successore di Pietro s'intrattenga in edificanti conversari con un laico non credente, ma assai interessato alle questioni religiose come un parroco un po' in crisi con la fede.
Il punto è un altro. Ogni volta che le due personalità discutono fra loro, il resoconto del dibattito compare sul quotidiano, il secondo per diffusione in Italia. E anche questo particolare non ci stupirebbe, se non fosse che subito dopo la pubblicazione dei mistici confronti, puntualmente, il pontefice, tramite la sala stampa vaticana, provvede a correggere o addirittura a smentire le dichiarazioni attribuitegli da Scalfari. Ieri, per esempio, la prima pagina della Repubblica recava questo titolo: «Il Papa: Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili». Sommario: «Colloquio con il Pontefice: La pedofilia è una lebbra che c'è nella Chiesa e colpisce anche vescovi e cardinali». Roba pesante. Che Bergoglio si è affrettato a negare di avere detto.
Le rettifiche di Francesco, all'indomani delle sue chiacchierate con Barbapapà, non sono nuove. Esistono dei precedenti su cui non vorremmo insistere. Limitiamoci a quest'ultimo caso. Leggere che la pedofilia sia praticata da vescovi e cardinali fa effetto. Magari questa è la verità. Se poi però colui il quale avrebbe pronunciato simile frase - assai impegnativa - si affretta ad aggiustare il tiro, cioè a smentire di averla anche solo pensata, allora la musica cambia. A chi dare retta? Al vicario di Cristo in terra o all'ateo che si è intrattenuto a colloquio con lui riferendone il pensiero? La tentazione sarebbe quella di credere al primo, non fosse altro perché in materia celeste ci sembra più accreditato del secondo (benché Eugenio non se ne renda conto, tant'è che non smette di cimentarsi con il Papa in discettazioni teologiche). Ma non si sai mai. Non essendo stati presenti al faccia a faccia, non possiamo renderne testimonianza.
Ciò che ci sorprende è il fatto che Francesco non abbia ancora capito una piccola cosa: è meglio predicare all'Angelus che durante le visite di un giornalista (per quanto autorevole). Egli è molto amato dai cattolici, i quali lo ascoltano a bocca aperta, e non saranno molto impressionati dagli equivoci provocati dal suo dialogo con il fondatore della Repubblica. Converrà, tuttavia, il Santo Padre, che sarà bene in futuro evitare di scambiare idee con un rappresentante della stampa le cui cronache necessitano di essere corrette a pubblicazione avvenuta. Il Papa non ha bisogno di un portavoce. Apre la finestra del suo studio e si rivolge alla piazza gremita di fedeli. Un discorso diretto alla folla non genera di solito malintesi. Le interviste invece nascondono sempre qualche insidia.
Che ci siano dei preti pedofili anche nelle alte gerarchie è probabile, ma è meglio discuterne nelle sedi ufficiali e non spifferarlo a Scalfari, che magari capisce male.
Quanto alla scomunica dei mafiosi, sbaglierò, ma mi sembra un atto dovuto (visto che essi sono degli assassini) e abbastanza tardivo, se proprio devo essere sincero.
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