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Voto, Crimi sfida Grillo. I 5s si affidano a Di Maio "Può aggiustare i cocci"

Il reggente disobbedisce: direttivo su SkyVote. L'ex capo a casa di Conte, poi vede Fico

Voto, Crimi sfida Grillo. I 5s si affidano a Di Maio "Può aggiustare i cocci"

Intermezzo grillino, nel giorno in cui il reggente Vito Crimi lancia la sfida al fondatore Grillo avviando la macchina elettorale interna ai grillini per votare il comitato direttivo su SkyVote, la nuova piattaforma, e non su Rousseau. Parla con Il Giornale un ex ministro, vicinissimo a Giuseppe Conte: «Luigi è l'unico che può mettere insieme i cocci», sospira. Si riferisce a Di Maio, lo scugnizzo che fino a un anno e mezzo fa era bersagliato da tutti, ora indispensabile per salvare il M5s. Negli stessi minuti in cui il contiano di peso spera in un suo intervento risolutore, l'uomo della Farnesina raggiunge la casa di Conte, a due passi da Montecitorio. Un'ora di colloquio. Trapela poco, il ministro degli Esteri monta immediatamente sulla sua auto. Nessuna dichiarazione ai cronisti assiepati sotto il solleone. Niente borsoni da tennis da brandire a bella posta tra i microfoni. «Giuseppe, una rottura così non conviene a nessuno», ragiona l'ex capo politico. Cerca di portare a più miti consigli l'avvocato, che nel pomeriggio di mercoledì aveva rilanciato, spiegando che il progetto politico che ha portato avanti per quattro mesi non poteva rimanere nel cassetto. «Ho il supporto di tanti cittadini», va ripetendo Conte. E però il consenso di Palazzo Chigi durante la prima ondata della pandemia è una cosa, i sondaggi un'altra. Di Maio, che un partito l'ha guidato, cerca di farlo capire al giurista della provincia di Foggia. «Con la scissione avremo due partiti del 10%», riflette una fonte di primo livello mentre il faccia a faccia è ancora in corso nel centro della Capitale. Le bocche cucite fanno ben sperare i parlamentari spaesati. I fedelissimi di Conte, tolto l'elmetto, cominciano a dubitare della bontà della strategia della rottura. Che significherebbe mettere su un partito dal nulla, senza soldi, senza sedi, senza iscritti. Di Maio instilla il dubbio nella mente dell'avvocato. Che dall'altro lato è trascinato verso la scissione dal Fatto Quotidiano e dagli uomini di punta del suo Staff.

Comunque finirà, è la rivincita del ragazzo di Pomigliano d'Arco, diventato troppo presto vicepresidente della Camera. Altrettanto prematuramente scelto per guidare un partito che da monolite si stava trasformando in covo di vipere, in coacervo di correnti impazzite. Sono tanti i pentastellati che, in questi quattro mesi di transizione immobile, hanno ricordato le assemblee infuocate in cui i parlamentari mettevano sulla graticola «il povero Di Maio». Accusato, di volta in volta, di essere «l'uomo solo al comando» o di essere troppo poco deciso, di fare il mediatore oltre misura oppure di tirare dritto per conto suo. Dopo anni di sopportazione, la traversata nel deserto. La cravatta tolta al Tempio di Adriano, lo stesso luogo in cui Conte, pochette nel taschino, ha replicato al Vaffa di Grillo. Da allora sono cambiate parecchie cose. Di Maio si è come inabissato. Dalla Farnesina ha scelto di coltivare un profilo istituzionale. È riuscito perfino a diventare atlantista e addirittura garantista. Intrattiene rapporti proficui con Mike Pompeo prima e Antony Blinken poi, segretari di stato Usa. Nel frattempo si dimentica della Via della Seta e chiede scusa al sindaco di Lodi Simone Uggetti, massacrato dai grillini che furono. Sembrano lontani anche i guai giudiziari del padre Antonio. Conte, il leader in pectore, insegue.

Gli uomini dell'ultima mediazione sono Di Maio e Roberto Fico. Già giovani promesse e rivali, adesso alleati nel tentativo disperato di salvare il M5s. Ieri i due parlano fitto per venti minuti all'Accademia dei Lincei. Nel caso saltasse tutto, i Cinque Stelle di Grillo ripartirebbero da loro. Silenziosi ma indispensabili. Chiamati a fare una sintesi complicatissima tra due vanità: quella felpata di Giuseppe e quella focosa di Beppe. «Non è ancora finita», dicono gli ambasciatori in prima linea nella trattativa.

Ora Di Maio di diplomazie se ne intende davvero.

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