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Xi e la politica dei due forni cinesi

Il presidente teme la guerra alle porte di casa, però rimane rivale degli Usa

Xi e la politica dei due forni cinesi

Ora che «in qualsiasi momento potrebbe scoppiare un conflitto» (parole di Pechino) si levano numerose le voci di quanti richiamano alla necessità di risolvere la questione nordcoreana attraverso il dialogo. Il ruolo della Cina, che è di fatto l'unico vero alleato del regime comunista di Pyongyang, è in questo senso cruciale. E non a caso Donald Trump, prima di decidere l'invio della sua «Armada» navale davanti alle coste della Corea del Nord, si era rivolto al suo collega cinese Xi Jinping chiedendone l'intervento personale su Kim Jong-un, l'inquietante «Giovane Leader» che ama farsi ritrarre mentre esulta in compagnia dei suoi ossequiosi e tremebondi generali dopo ogni test nucleare.

Anche se l'attitudine da cowboy del presidente americano sembra fare aggio sugli spazi da lui concessi alla diplomazia, non si può negare che con i cinesi Trump si sia giocato tutte le carte a disposizione: a modo suo, naturalmente. L'ex tycoon è arrivato a offrire apertamente a Pechino migliori condizioni nei futuri accordi commerciali in cambio di un impegno concreto per sbloccare la crisi nordcoreana. E in qualche modo questo approccio poco ortodosso sembra aver sortito qualche effetto, visto che un giornale cinese di proprietà statale ha pubblicato un editoriale in cui si minaccia Pyongyang di «sanzioni senza precedenti» se l'imminente sesto test atomico non sarà bloccato.

A spingere Xi verso un atteggiamento collaborativo con Trump c'è anche, primariamente, il concretissimo timore che uno scenario di guerra simile a quello visto pochi giorni fa in Siria - ma moltiplicato per cento considerati gli arsenali nucleari in campo e le imprevedibili ricadute di un eventuale tracollo del regime di Kim - possa replicarsi in Corea, alle porte della Cina. Ed ecco spiegati i toni insolitamente severi con Pyongyang e il recente blocco dell'import di carbone dalla Corea del Nord, una voce importantissima della bilancia economica del «regno eremita».

Se solo volesse, Pechino potrebbe mettere in ginocchio Pyongyang interrompendo le sue forniture di petrolio, e certamente Trump ne sarebbe contento. Tuttavia, bisogna ricordarsi che Cina e Stati Uniti non sono esattamente amici, come dimostra il duro confronto sulle pretese espansionistiche di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. E che anche se motivi d'interesse li spingono a ridurre le loro ampie distanze, essi rimangono di fatto i duellanti per l'egemonia mondiale nei decenni a venire.

In fondo, Xi sa bene che i temuti missili nordcoreani con testate nucleari e chimiche non sono certo puntati contro il suo Paese, bensì contro Corea del Sud e Giappone, alleati degli americani. Ecco perché la collaborazione con Trump non sarà mai sincera, e l'enfasi cinese sull'opzione del dialogo con il dittatore rosso di Pyongyang suona strumentale.

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