Gli occhi gonfi di pianto. Genitori affranti che ricuciono il dolore con la forza dell'amore. Il ritratto di una ragazzina adorabile. La fotografia di un omicidio orribile. Le lacrime e la rabbia che, ancora una volta, entrano in un'aula di tribunale ma che mai, come questa volta, scuotono le coscienze e rimandano coi ricordi a quel corpicino esile di Yara Gambirasio, 13 anni. Quando, la sera del 26 novembre 2010, dopo essere uscita dalla palestra che frequentava a Brembate di Sopra, scomparve nel buio, in cui la fece piombare un orco sadico e folle per venire ritrovata cadavere, tre mesi dopo, in un campo non lontano, a Chignolo d'Isola.
È il giorno della prima udienza in cui la mamma e il papà di Yara siedono poco distanti da quell'individuo che un puzzle di accuse, tra cui la prova del Dna, indicano come l'omicida della figlia, Massimo Bossetti. Maura Panarese comincia la deposizione abbozzando perfino un sorriso di tenerezza quando ricorda che Yara il giorno in cui scomparve era al settimo cielo «perché aveva appena ritirato a scuola un pagellino con voti bellissimi». Ricostruisce le ultime ore della figlia: l'ultima volta che la vide, la ragazzina stava facendo i compiti e, una volta finito, avrebbe portato uno stereo nella vicina palestra che frequentava. «Mamma abbiamo un sacchetto? - le chiese la tredicenne -. E la madre, con una battuta, rispose: figurati se guardano tutti te che porti lo stereo». Non riesce a trattenere le lacrime, il padre, Fulvio Gambirasio: «Era il collante, il sale della nostra famiglia, ogni cosa la faceva con una capriola, una giravolta. Era sempre allegra e sorridente. Era una ragazzina normale Yara, con la passione per la ginnastica, ma un vecchio cellulare che la madre ogni tanto controllava senza mai aver trovato nulla di strano». Poi quegli interrogativi che l'hanno ossessionato per mesi: «Sono una persona che non ha mai fatto del male ad altre persone e conosco molta gente. Da quando Yara è sparita, però, ho passato notti intere a pensare se avessi potuto fare del male a qualcuno, ma non ho trovato appigli. Quando nel giugno scorso sono stato informato del fermo di un uomo, ho chiesto a mia moglie di dirmi il nome e quando mi è stato detto di Bossetti,che conoscevo solo di vista, mi sono sentito per certi versi sollevato».
Senza tradire la minima emozione ascolta quei genitori distrutti, Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara, il carpentiere di Mapello, camicia bianca a mezze maniche, jeans e scarpe nere che ieri ha lasciato la gabbia riservata ai detenuti e si è seduto accanto al suo legale, l'avvocato Claudio Salvagni. E, impassibile, Bossetti ascolta anche un altro durissimo atto di accusa nei suoi confronti: la lettera di Loredano Busatta, suo ex compagno di cella nel carcere di via Gleno a Bergamo e consegnata dalla madre di Yara. «Ho raccolto le confessioni di quell'animale - scrive Busatta ai genitori della ragazzina - spero che Bossetti paghi per il crimine che ha commesso. Sono stato tre mesi con lui ed era pure spavaldo. Neanche per un attimo ha rivolto un pensiero a vostra figlia ma ha detto solo falsità per farsi pubblicità e guadagnare soldi dalla vicenda giudiziaria che lo ha travolto». «Non è una prova sul fatto o del fatto - ha sottolineato la presidente della corte d'Assise Antonella Bertoja - ma se ne è data lettura solo per evitare che nel dibattimento ci fossero dei punti oscuri».
Su richiesta della difesa di Bossetti, invece, la madre di Yara farà avereil diario scolastico della ragazza, in modo tale che le parti possano consultarlo. Il diario, dopo le prime indagini, era stato restituito alla famiglia. Già, il diario, solo il diario, è stato restituito a quella famiglia distrutta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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