Roma Un «groviglio armonioso» odoroso di sinistra che ha messo in ginocchio una banca e la «sua» città, Siena. La storia giudiziaria del Monte dei Paschi comincia quando il nuovo management - Alessandro Profumo presidente, Fabrizio Viola ad - scopre e denuncia un clamoroso buco nei conti dell'istituto.
Un ammanco da almeno 200 milioni di euro provocato dalla dissennata acquisizione di Antonveneta, portata a termine dall'ex presidente Giuseppe Mussari nel 2007 regalando una plusvalenza da favola al Banco Santander di Emilio Botin, che Antonveneta l'aveva presa in «bundle» con Abn Amro, rivendendola a Mps senza averla ancora nemmeno pagata. Quell'operazione fu l'inizio della fine, e portò la più antica banca del mondo a cercare di mascherare i buchi attraverso rovinose operazioni finanziare, nascoste a una distratta vigilanz, come quella sui derivati Alexandria e Santorini, per i quali Mps ha chiesto a inizio mese il patteggiamento al gup di Milano, dopo che, per Alexandria, nel 2014 erano stati condannati a Siena lo stesso Mussari, l'ex ad Antonio Vigni, l'ex capo area finanza Gianluca Baldassarri. Magagne per i manager, ma la politica resta sullo sfondo. Eppure dal Pci al Pd, passando per i Ds, il «partito» di Roma su Mps e sulle sue scelte ha sempre avuto grande influenza.
Lo hanno confermato in tanti, come l'ex presidente della Fondazione Mps (braccio politico della banca) Gabriello Mancini. Ai pm senesi, nel 2012, Mancini rivelò: «La mia nomina, come quella di Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale, e condivisa dai vertici della politica nazionale». E a ribadire alla commissione d'inchiesta della Regione Toscana il «peso» del partito nelle scelte di Mps, a marzo scorso, sono stati anche due ex sindaci di Siena (eletti con Pds e Pd e in carica tra 1990 e 2011), Maurizio Piccini e Maurizio Cenni. Il secondo ha ammesso «pressioni politiche» su operazioni come l'acquisizione della salentina Banca121.
Il primo c'è andato giù pesante: «La politica, non solo locale - ha spiegato Piccini - ha deciso le sorti della Fondazione e della banca in riunioni che avvenivano fuori dalle istituzioni. Io stesso sono stato oggetto continuo di pressioni da parte del partito cui appartenevo, perché facessi certe operazioni e non altre. È uno dei motivi per cui ne sono stato espulso nel 2004».
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