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L'archiviazione-lampo che salvò Zingaretti dai guai di Mafia capitale

Dopo l'audio, tornano a far discutere le accuse del ras delle coop Buzzi sui finanziamenti

L'archiviazione-lampo che salvò Zingaretti dai guai di Mafia capitale

Accuse de relato, senza riscontri oggettivi. Così i pm della Procura di Roma avevano motivato l'archiviazione della posizione di Nicola Zingaretti nella storiaccia sulla gara per il Centro prenotazioni unico del Lazio del 2014. È ai pm Paolo Ielo e Michele Prestipino che Salvatore Buzzi, re della coop rossa al centro dell'inchiesta Mafia Capitale per cui è stato condannato insieme all'ex Nar Maurizio Carminati, vuota il sacco in carcere. Rivelando l'indicibile accordo tra la e la sinistra Pd e l'opposizione - rappresentata dall'ex consigliere comunale Luca Gramazio, figlio di Domenico - per la spartizione del numero unico della sanità romana. Circostanza a cui i pm credono, tanto è vero che nel tritacarne finisce Maurizio Venafro, braccio destro di Zingaretti e suo capo di gabinetto quando l'attuale segretario Pd era presidente della Provincia di Roma. Gramazio per lungo tempo è rimasto l'unico politico di Mafia Capitale in cella anche prima della condanna.

Da tutta la vicenda Venafro è uscito libero, ma con le ossa rotte. Ma secondo Buzzi era solo un tramite. Così dice ai magistrati: «Gramazio va da Zingaretti e gli dice: L'opposizione sono io e Zingaretti lo rassicura: Non ti preoccupare, fai questa cosa con Venafro, ci penso io con Venafro. Da quel momento in poi si parla solo con Venafro. Che gli dice: Mi ha trasmesso la cosa il presidente, quindi stai tranquillo uno (lotto, ndr) è il tuo. Quale vuoi?. E noi gli diciamo: Vogliamo il 4, invece poi ci danno il 3, insomma uno dei due più piccolini», come rivela Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera. Circostanze su cui, secondo il legale di Buzzi Alessandro Diddi, forse non si è ancora indagato abbastanza.

Sta di fatto che Venafro e Gramazio passano sotto le forche caudine del processo, invece le accuse contro Zingaretti non sembrano sufficientemente documentate tanto da andare avanti. Eppure si parla anche di soldi. Soldi che sempre secondo il creatore della coop «29 giugno» sarebbero transitati da Peppe Cionci, che per Buzzi è «l'uomo di Zingaretti». Zingaretti ammetterà a processo di aver preso soldi da Buzzi «in chiaro» ma le accuse valgono una querela di Venafro e dello stesso Cionci. È lui che secondo Buzzi «tiene le cose economiche di Zingaretti, perché se uno deve fare una campagna elettorale e se deve dare i soldi al comitato di Zingaretti si rivolge a Cionci. È un uomo abbastanza conosciuto a Roma». «Per i finanziamenti per Zingaretti?», chiede il pm Ielo. «Esatto», risponde Buzzi, che con la memoria torna al 2008, quando «Zingaretti vince le elezioni provinciali e Luca Odevaine viene nominato capo della polizia provinciale».

E chi è Luca Odevaine? Un altro componente del cerchio magico vicino a Zingaretti. Anche lui è una vecchia conoscenza della politica romana che grazie alla sinistra era riuscito a scalare i vertici del Viminale, fino a entrare nel Tavolo tecnico sull'immigrazione. Già vicinissimo a Walter Veltroni, secondo i giudici che l'hanno condannato per corruzione a 6 anni e 6 mesi (la Procura si sarebbe accontentata di 2 anni e mezzo) perché in cambio di mazzette avrebbe favorito Buzzi e il Mondo di mezzo attraverso la rivelazione di informazioni riservate e la decisione di dirottare i flussi dei migranti che sbarcavano a migliaia nelle coste italiane verso le coop vicine a Mafia Capitale ma anche al Cara di Mineo, centro di accoglienza recentemente sgmoberato dal Viminale.

Di Odevaine Buzzi parla in merito a una vicenda, anche in questo caso appresa de relato, in cui si ipotizza che la sede della Provincia di Roma fu comprata da Parnasi. L'imprenditore che oggi è finito nei guai per lo stadio di Roma e i rapporti con Campidoglio, Lega, M5s e guarda caso il Pd.

Ma non ditelo a Zingaretti.

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