Milano«E alla politica dico, adesso giù le mani dallExpo».
Onorevole Lucio Stanca, ma lei oltre che amministratore delegato della manifestazione del 2015 a Milano, non è anche un politico?
«La politica deve avere un ruolo importante di guida e di controllo».
E quindi?
«Non è giusto che una certa, e dico una certa politica abbia usato e continui a usare lExpo come strumento di lotta. Con strumentalizzazioni e deformazioni del vero».
Che si fa? Vuole un cartello come nei tram non disturbate il manovratore?
«Non ci si rende conto che con queste polemiche si crea un danno gravissimo allimmagine dellExpo. Lopinione pubblica è frastornata».
In questi mesi lo spettacolo non è stato edificante. Sembrava un assalto alla diligenza. Più ritardi che progetti.
«Ma quali ritardi. Torno ora da Parigi dove il Bie, lorganismo internazionale che sovrintende allExpo, ha approvato il nostro lavoro».
Serviva una registrata.
«Il presidente ha parlato, leggo testualmente, di importanti e positivi passi avanti. Se lo dice lui che è lunico ad avere in mano tutti gli elementi per giudicarci».
Tutto bene allora.
«No. Perché di questo sui giornali non si legge una riga. Il silenzio è sconcertante per quello che sarà non solo per Milano, ma per tutta lItalia lappuntamento più prestigioso dei prossimi anni».
Le polemiche ci sono state.
«Continuando a parlare solo di quelle, la gente si allontana. E questo sarebbe il vero fallimento. Il successo è legato allimpegno di tutti. Istituzioni, privati, cittadini».
Dipenderà da voi.
«Non sono nato ieri. So che le polemiche ci sono e ci saranno. Capisco le logiche della lotta politica, ma non usiamo lExpo. Lasciamola fuori. Non usiamola per le campagne elettorali. Anche perché in Italia ce nè una ogni anno».
Niente politica allora?
«Politica buona. Più aiuti, più consigli, più contributi di tutti. Da destra e da sinistra».
Non è colpa dei giornali se il bilancio di Expo è in passivo e siete costretti a chiedere ancora soldi a Regione, Comune, Provincia e Camera di commercio.
«Ecco, un esempio di come certa politica ha creato un caso su niente».
Mancano quattro milioni e mezzo dopo soli sei mesi.
«Una struttura come Expo ha fisiologicamente una struttura in perdita fino a pochi mesi prima dellinaugurazione. Ora ci sono le spese, solo alla fine arrivano biglietti, sponsorizzazioni, merchandising».
I soldi li avete spesi.
«Far partire un evento costa: limpianto giuridico, i pareri dei professionisti, la selezione del personale. Gli stipendi».
Gli stipendi appunto. Nellultimo cda è stata bloccata una richiesta per la parte variabile dello stipendio suo e dei manager.
«Abbiamo chiesto a una società internazionale. Ha certificato che le retribuzioni sono nettamente inferiori alla media del mercato italiano. E soprattutto di quello milanese».
Non certo stipendi da fame.
«Inferiori a quelli delle società municipalizzate milanesi come Sea, Atm o Amsa. Unaltra polemica pretestuosa».
Come quella sul suo doppio incarico. Deputato e amministratore delegato.
«Nessuna incompatibilità. Né tecnica, né giuridica. E un amministratore va giudicato sui risultati. A Roma, grazie al mio ruolo, ho già incontrato tutti i ministri. Molti deputati. Questo serve a Milano».
Il progetto risentirà della crisi e del taglio dei fondi.
«Rendiamoci conto che questa non sarà unExpo tradizionale. Per la prima volta non sarà una gara di muscolarità architettonica».
Farà mica come la volpe con luva?
«Leggera nelle strutture architettoniche, ma ricchissima nei contenuti. La nostra forza sono le idee. E quella più straordinaria è il tema, lalimentazione. Il futuro del pianeta».
Senza soldi non si va molto lontano.
«Capiamo la difficoltà delle istituzioni. Cercheremo di ridurre limpegno pubblico cercando di coinvolgere i privati. Sono stato a Roma alla Confindustria. Ho parlato con larcivescovo Tettamanzi, con le federazioni sportive. In tutti cè grande interesse.
Un chiodo fisso.
«Vorrei far capire che grazie a Expo per i prossimi quattro anni andremo in giro per il mondo a promuovere il sistema Italia. Una sfida che si vince solo remando tutti insieme».
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