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Il politico condannato per corruzione non potrà candidarsi

RomaAlla fine, proprio alla fine, nel disegno di legge anticorruzione entra anche la norma per l’ineleggibilità in Parlamento, per 5 anni, dei condannati in via definitiva per corruzione, concussione, peculato, malversazione.
Nella bozza entrata al Consiglio dei ministri c’era solo l’allargamento delle cause di incandidabilità per gli amministratori locali, ma Roberto Calderoli insiste per inserire un emendamento, appunto sulle misure per deputati e senatori. Ricalca l’idea di Gianfranco Fini. Il governo l’approva e il ministro leghista per la Semplificazione normativa esprime soddisfazione. Mentre il presidente della Camera, pur scherzando sulla paternità della proposta, la rivendica: «Sono lieto che il Consiglio dei ministri abbia accolto la mia proposta».
Il via libera al ddl viene dato «salvo intese» e i tecnici continuano a lavorarci per definire la questione delle «liste pulite» e alcuni nodi sugli appalti. Il testo, comunque, non tornerà a Palazzo Chigi. Andrà in Parlamento e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, chiede all’opposizione di non creare divisioni.
Nella conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri (senza domande e i giornalisti protestano) il Guardasigilli, Angelino Alfano, assicura che il provvedimento ha avuto «sostegno pieno» di Pdl e Lega. Dice che fissa «un principio fondamentale: la trasparente gestione della cosa pubblica frena la corruzione». L’approvazione delle nuove norme, sottolinea il ministro, è avvenuta per la «volontà ferma di Silvio Berlusconi di procedere a una normativa ampia che riguarda non solo gli aspetti sanzionatori ma che sia in grado di garantire una maggiore efficienza e un buon governo». E aggiunge: «I nostri partiti non hanno bisogno di soldi rubati per sopravvivere. Chi ruba, ruba per sé e deve pagare per questo».
Al ddl hanno lavorato tre ministeri, oltre a quello di Alfano e Calderoli quello del titolare della Pubblica amministrazione Renato Brunetta e infatti si divide in tre capitoli: nuova disciplina contro la corruzione negli enti locali, piano anticorruzione, nuove norme sanzionatorie.
Queste ultime inaspriscono, tra la metà e un terzo sia dei minimi che dei massimi, le pene per i reati contro la pubblica amministrazione e intervengono in particolare per quelli che «non avevano adeguate sanzioni, dato il loro particolare disvalore sociale», spiega Alfano. Viene anche introdotta una nuova aggravante per il pubblico ufficiale infedele, proprio per sottolineare la gravità del comportamento. Una scelta «simbolicamente molto forte» del governo, dice il Guardasigilli, prevede il «fallimento politico» dei governatori, per cui è prevista l’incandidabilità alla fine di un mandato negativo. «Come nelle aziende private si portano i libri in tribunale - spiega il ministro -, così nell’amministrazione della cosa pubblica si portano i libri politici agli elettori e non ci si può più candidare».
Nel capitolo di Brunetta l’aspetto più significativo è il Piano nazionale anticorruzione, con misure di prevenzione da parte di amministrazioni locali e centrali, che verrà presentato al Parlamento e periodicamente aggiornato. Ci sarà poi l’Osservatorio sulla corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione, per trasmettere ogni anno al ministro un’analisi aggiornata dei fenomeni. Il titolare della Pubblica amministrazione ne informerà governo, Parlamento, organismi internazionali e Commissione per la valutazione e la trasparenza delle Pubbliche amministrazioni. «Non ci saranno più - dice Brunetta - analisi estemporanee, allarmi, ma statistiche ufficiali». Le nuove misure per la trasparenza riguardano appalti, contributi e assunzioni e sia bandi che avvisi saranno on line. Viene valorizzato il ruolo dell’Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, che dovrà pubblicare nelle sue banche dati le informazioni comunicate dalle singole «stazioni appaltanti» su ogni contratto. «Le amministrazioni pubbliche - spiega Brunetta - dovranno assicurare la trasparenza come livello essenziale delle prestazioni e provvedere al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali, anche per evidenziare eventuali anomalie».

I dirigenti che non lo faranno in modo completo ne saranno responsabili.

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