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Il Polo non voti D’Alema al Quirinale

Pietro Mancini

Vittorio Feltri e Giulianone Ferrara - che cambiano, forse un po' troppo spesso, opinione, su vicende e protagonisti del «teatrino politico» - ritengono che, tra le priorità del centrodestra e del suo leader, Silvio Berlusconi, in questa delicata fase, vi sia quella di dare disco verde all’elezione al Quirinale di Massimo D’Alema, uno degli allievi prediletti dei leader comunisti Togliatti e Berlinguer. «La pace si fa con i nemici - spiegano costoro - e poi D’Alema, che è il più intelligente degli avversari del Cavaliere, detesta Romano Prodi, come dimostrò, sfrattandolo, insieme a Bertinotti e Marini, da Palazzo Chigi. E non è detto che, una volta insediatosi al Quirinale, lo scaltro Massimo non sia pronto a rifare al buon Romano lo scherzetto del 1998, quando Parisi sbagliò il conto dei parlamentari favorevoli all’esecutivo del Professore, che cadde».
È vero che la politica italiana è il regno delle trame e delle manovre, ma una coalizione, come la Casa delle libertà, a cui milioni di elettori hanno affidato, con i loro voti, grandi responsabilità, spingendola a presentare proposte credibili, non può far dipendere il suo fururo, e quello del Paese, da disegni confusi, ambigui e trasversali, che non sarebbero compresi dalla maggioranza dell’elettorato. Restiamo ai fatti. Dal giorno in cui, qualche settimana fa, la Cassazione ha proclamato la risicata e discussa vittoria di Prodi, il centrosinistra, dilaniandosi tra le sue componenti, ha pensato soltanto a spartirsi le poltrone. Con meno del 50 per cento dei consensi nel Paese, l’ex Ulivo ha già occupato i due più alti seggi del Parlamento. Al Senato, in particolare, dove può contare solo su un paio di voti in più rispetto al centrodestra, la nuova maggioranza ha dato vita a uno spettacolo deprimente di «franceschi tiratori», di minacce, di pressioni e di ricatti, nel quale è rimasto coinvolto, non facendo una bella figura nella gestione delle sedute, l’ex capo dello Stato, Scalfaro, prima di riuscire a eleggere non un novellino, bensì un ex dc di lungo corso, il 73enne rutelliano Franco Marini.
È stata rifiutata, dal tutt’altro che coeso fronte prodiano, con malagrazia, istituzionale prima che politica, la disponibilità, disinteressata, di uno degli statisti più prestigiosi del Paese, Giulio Andreotti, che non avrebbe meritato gli sberleffi di alcuni giornali, vicini alla Cdl, all’indomani della sconfitta, di misura, della sua generosa candidatura di servizio. Alla Camera, non c’è più il moderato e autorevole Casini, bensì il massimalista Bertinotti, ex socialista lombardiano, che nel suo primo discorso si è rivolto a una sola parte del Paese, quella che comprende, purtroppo, i Caruso e, fuori da Montecitorio, i contestatori violenti, nei cortei sindacali del 1° maggio, degli ex ministri Buttiglione e Moratti.
In questo quadro, sarebbe un errore grave, per la Cdl, levare le castagne dal fuoco agli avversari, votando D’Alema, o Giuliano Amato, giustamente bocciato dal vecchio saggio Rino Formica, come successore di Ciampi che, ieri, con un’esternazione molto seria e dignitosa, ha rinunciato a un secondo mandato. E accettando, in silenzio, l’imbarco, nei dicasteri chiave degli Interni e della Giustizia, del dalemiano Minniti e della violantiana Finocchiaro, insomma l’«en plein» della componente ex comunista del prodismo, che può godere di solidi appoggi dei giornali più diffusi, delle banche e della magistratura. Per il centro-destra, questo non è il momento di farsi irretire nelle «meline» parlamentari e nei complicati giochetti, nei quali, come si è visto al Senato, i loro avversari, ammaestrati dal furbo statista di Ceppaloni, Mastella, sono più abili. Occorre, al contrario, elaborare una serie di idee-guida e di soluzioni adeguate ai problemi più sentiti dai cittadini, da illustrare, nelle prossime settimane.
Mentre, sinora, il centro-sinistra, completamente sprovvisto di un modello culturale, di una forte e chiara identità e di un progetto di società futura, ha pensato, unicamente, alla spartizione delle cariche istituzionali e sta programmando l’assalto alle poltrone ministeriali e a quelle della Rai e degli enti pubblici, Berlusconi, Tremonti, Fini e Casini devono voltare le spalle, con forza e fermezza, a questo assalto alla diligenza. Non salendo, certo, sull’Aventino, perché anche i parlamentari dell’opposizione potranno concorrere, se matureranno le condizioni, all’elezione di un Presidente autorevole e il più lontano possibile dalle lottizzazioni dei vertici partitici. Gianni Letta, sempre imparziale e obiettivo nello svolgimento dei suoi delicati incarichi, a chi scrive, e penso a molti lettori, sul Colle, piacerebbe molto e, come ha sottolineato il Cavaliere, dovrebbe essere apprezzato anche dai settori moderni e democratici del centrosinistra.
Ma, soprattutto, Berlusconi, che non deve «scaricare» ma valorizzare Tremonti, dovrà continuare a distinguersi da Prodi per stile, compostezza, chiarezza nelle scelte, estraneità alle risse.

Cominciando a lavorare, anche con l’apporto di nuovi dirigenti, per coagulare qualificati consensi attorno a un progetto complessivo, che coinvolga le migliori intelligenze ed energie del Paese. E riesca a interessare, soprattutto, i giovani, delusi dallo «sconfittismo» e dai richiami al passato, che ha caratterizzato gli esordi delle nuove (?) personalità cattocomuniste dell’Unione.

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