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La pornoprof: «La mia vocazione è la scuola»

Gabriele Villa

nostro inviato a Pordenone

«E adesso basta. Basta con le domande, basta con i risolini e le battute. Mi prendo una settimana di vacanza. Poi dall'11 settembre penserò solo alla scuola». Il campanile di piazza San Marco batte l'una di notte quando la signora dei misteri sguscia dall'ufficio del suo legale e si dilegua dopo aver risposto alle domande dell’intervista pubblicata in esclusiva ieri dal Giornale. Basta, dunque. Lontano da Pordenone, lontano dalle chiacchiere. Che, in questi 4 anni, a furia di montare come un soufflé, hanno messo in castigo, dietro la lavagna, lei, una rispettabile professoressa di lettere delle medie e l'hanno fatta diventare, per tutti, solo e semplicemente la pornoprof. Tanto irreprensibile e professionale in cattedra, quanto trasgressiva nel privato, la focosa insegnante, nom de plume Isabella, venne pescata senza veli, accadeva nel 2002, tra le maglie della rete internet da alcuni ragazzacci del liceo con la mania di navigare. Un sito caldo, anzi caldissimo. E calda, caldissima è diventata la sua storia. Che adesso, ai tavolini del Goppion caffè di corso Vittorio Emanuele o alla prosciutteria Dok di piazza della Motta si arricchisce di un nuovo capitolo. E i sapidi commenti veleggiano nella Pordenone abbronzata e in cerca di gossip del dopo ferie. Lei non ci fa caso, passa e va: «Ho ricevuto moltissime manifestazioni di solidarietà. Questa esperienza mi ha fatto capire che non tutta la gente mi è ostile. Vorrei ricordare che, come ben noto anche alla magistratura, le foto su internet non sono state rese pubbliche da me. Le ha fatte circolare qualcun altro».
Ora è successo che davanti a un preside possibilista sull'arruolamento nella locale scuola, per il secondo anno consecutivo, della pornoprof (ancora, per la verità costretta nel limbo del precariato) i genitori si sono messi in assetto di guerra sul cancello del scuola. Eccola la novità: la signora senza veli è stata dirottata altrove. Dall'11 settembre non insegnerà più ai ragazzini ma agli adulti del Centro territoriale di San Vito al Tagliamento. Alunni dai 18 ai 70 anni, in prevalenza casalinghe e immigrati, riuniti in classe per i corsi delle 150 ore che servono a conquistare la licenza media.
Se è vero che a San Vito l'aspettano a braccia aperte («è una brava insegnante, ci farà aumentare le iscrizioni»), l'interessata che ne pensa? Ci andrà laggiù, in castigo, in mezzo a gente che, in qualche caso, deve imparare persino l'alfabeto? «Certo, che ci andrò e di buon grado - garantisce prima di fare i bagagli per la breve pausa di riflessione - e ci andrò perché insegnare sarà sempre il mio mestiere. Non ho nessuna altra vocazione. Insegnare è la professione che ho scelto. Da quando è scoppiato lo scandalo ho insegnato, con merito e profitto, in numerosi istituti della provincia, senza mai ricevere rimproveri o note di biasimo. Quindi non vivo certo questo nuovo incarico come una punizione». Nella villetta a due passi dal centro la signora in rosso, che a scuola ha sempre sfoggiato un look castigato, ma in quei siti che costano un euro al minuto «fa arrossire - commenta una collega - anche i guardoni più smaliziati» vive con un marito e due figli. Una famiglia che lei ha sempre tenuto al riparo dalle polemiche e dal vespai dei pettegolezzi: «Mio marito mi è sempre stato vicino e continuerà a esserlo. Non parla di questa storia. D'altra parte io sono una persona molto riservata e preferisco che le mie trasgressioni rimangano un affare strettamente personale. Ribadisco che non mi sono mai dedicata all'hard, è un mondo che non pratico e non frequento. Insomma, non ho nessuna doppia vita». Esausto per il trambusto di questa faccenda, prima di spegnere il telefonino e tornarsene in ferie giustamente anche il suo legale, l'avvocato Sergio Gerin deposita sul nostro taccuino l'ultima dichiarazione: «La mia cliente è provata, siamo di fronte a un tentativo bello e buono di discriminazione.

È come se la gente lamentasse che un docente è gay o musulmano».
Alzano i calici all'Osteria del vecio Moro in via del Castello: «Meno male che ci ha pensato lei a dare una scossa a Pordenone. Qui non succede mai niente di cui parlare». O sparlare.

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