Politica

La porta stretta di Bush

La porta stretta di Bush

Il sesto «discorso sullo Stato dell'Unione» di George W. Bush è stato il più difficile della sua presidenza giunta alla prima scadenza del secondo mandato. Il 2005 ha segnato l'annus horribilis del presidente che è sceso al 39% del consenso popolare, il minimo storico fin dai tempi di Nixon del Watergate. In Irak la situazione si è impantanata senza prospettive di uscita a breve scadenza. All'interno si susseguono episodi a dir poco controversi: il Ciagate, le intercettazioni telefoniche anti-terroristiche autorizzate dalla Casa Bianca, i sospetti di corruzione di alti esponenti repubblicani della Presidenza e del Congresso, e la grave impreparazione del governo federale ad affrontare il ciclone Katrina.
In questo contesto Bush ha tenuto un discorso tutto proteso all'ottimismo e all'offensiva, consapevole di parlare nell'occasione più importante per il rapporto tra presidenza e opinione pubblica. Ha puntato sulle questioni che oggi più toccano la sensibilità degli americani sia idealmente - la difesa della libertà con la lotta contro i tiranni -, sia materialmente - il problema energetico, presupposto dello sviluppo economico.
A cinque anni dalle Torri Gemelle la lotta al terrorismo rimane una questione decisiva. Perché, con l'attacco dell'11 settembre, si è fortemente incrinata la consapevolezza degli americani di essere un popolo invincibile e di considerare invulnerabile il territorio domestico. Legando la sicurezza domestica alla lotta ai tiranni, in particolare assumendo un atteggiamento fermo di fronte ai palestinesi di Hamas e ai fondamentalisti iraniani, Bush ha voluto ribadire le linee di fondo di tutta la sua presidenza. La libertà degli americani e la protezione dai terroristi alla Bin Laden o dalle sorprese nucleari degli ayatollah, sono legate alla capacità di attuare una politica preventiva sul lato politico ed anche militare.
Ma quest'anno, diversamente dal passato, è sorta la nuova preoccupazione dell'americano medio per il costo della benzina, cioè per il mantenimento dell'alto livello di vita. I prodromi della crisi energetica internazionale e il peggioramento della situazione petrolifera mediorientale sono stati avvertiti come delle vere e proprie minacce al benessere di tutti. È perciò che il presidente ha rilanciato l'ipotesi di nuove fonti energetiche che svincolino l'America dalla dipendenza dalle crisi, alludendo anche alla necessità di sfruttare il petrolio dell'Alaska che da sempre è fonte di polemiche.
Nonostante le traversie della presidenza nel 2005, la situazione economica degli Stati Uniti, diversamente dall'Europa, resta florida con il perdurare di un moderato sviluppo e di un tasso di disoccupazione molto più basso del periodo clintoniano. Tuttavia la partita della seconda amministrazione Bush si giocherà principalmente sul modo in cui andrà a finire l'Irak. Se per un verso la campagna irachena ha segnato il successo delle prime prove di democrazia con effetti in tutto il Medio Oriente, per un altro ha provocato negli Stati Uniti un grande deficit di bilancio oltre alla perdita sul campo di oltre duemila soldati. Le elezioni di novembre diranno se il presidente riuscirà a superare la porta stretta che attualmente lo imprigiona alla Casa Bianca.
m.

teodori@agora.it

Commenti