Portava le tangenti, poi diventò sindaco

Per il pm Nordio, titolare dell’inchiesta, era privo di «intelligenza astuta»: disarmante, ci siamo arresi

Stefano Filippi

nostro inviato a Padova

La memoria difensiva porta la data dell'11 luglio 1993. La firma è di Flavio Zanonato, figura storica del Pci-Pds di Padova ora sindaco della città di Sant'Antonio. Zanonato deve spiegare il suo ruolo in una vicenda di tangenti che coinvolge lui, il suo partito e le cooperative rosse. Rivela di aver lavorato come dipendente della coop Cles dal febbraio 1991 al giugno 1992; di aver «accolto» questo lavoro, estraneo alle sue precedenti occupazioni e alla sua formazione culturale, semplicemente per potersi avvicinare a Padova e in attesa di avere un incarico politico a lui più consono (quello di sindaco); di aver svolto alla Cles varie mansioni senza una collocazione precisa; di essersi occupato di varie iniziative rimaste tutte, visto il poco tempo passato alla Cles, allo stato embrionale; di avere nel frattempo terminato gli esami presso la facoltà di filosofia. E di avere anche fatto il corriere delle tangenti. Ma lui, ovviamente, non lo sapeva.
La storia è tutta raccontata nelle carte di un'inchiesta chiusa da un decennio e dimenticata forse un po' troppo presto, quella dell'allora pm veneziano Carlo Nordio sugli intrecci tra cooperative rosse e Pci-Pds. Vicenda conclusasi con un'archiviazione, e tuttavia emblematica di come funzionava il triangolo fra partito, coop e soldi pubblici. Lo scrive lo stesso pm Nordio: «Le argomentazioni difensive dello Zanonato vanno condivise anche perché corroborano quanto detto in precedenza, che il flusso delle risorse pubbliche dallo Stato alle cooperative e da queste al partito, direttamente attraverso la pubblicità fittizia, o indirettamente attraverso il mantenimento dei suoi funzionari, è ammessa dagli stessi protagonisti».
Zanonato dunque ammette che il lavoro alla Cles era un parcheggio: lavorava quasi niente, intanto si laureava in attesa di «un incarico politico più consono». In più, il futuro primo cittadino di Padova racconta di aver portato valigette piene di soldi (dieci milioni al colpo) a ditte che dovevano partecipare a una gara d'appalto truccata, quella per la costruzione dell'ospedale di Castelmassa (Rovigo). Era già stato deciso che i lavori dovevano essere assegnati a una coop rossa: Zanonato doveva consegnare denaro per convincere i concorrenti a partecipare «pro forma» presentando offerte meno convenienti.
L'inchiesta divampa durante il primo mandato da sindaco di Zanonato, il quale viene chiamato in causa dai titolari di alcune ditte che avevano ricevuto decine di milioni di lire per presentare offerte fittizie. Rilanci utili - scrive Nordio - «ad appoggiare e avallare la regolarità formale della gara, dichiarando un prezzo maggiore che lo Zanonato doveva appunto controllare, per evitare un tiro mancino all'ultimo momento». Zanonato, sostiene uno degli indagati, «è un compagno di partito che non ha alcuna cognizione di appalti. Fu inserito in una nostra cooperativa in attesa di un incarico politico a lui più consono».
Nordio annota che «per quanto possa sembrare singolare, Zanonato avalla questa incredibile dichiarazione». È tutto contenuto nella memoria che il sindaco spedisce in quattro e quattr'otto e che gli evita un'informazione di garanzia «non dovendosi informare - spiega il pm - chi già si dimostra informato». Ed ecco la stupefacente ammissione: «Zanonato ammette di essersi recato dal Guerrato (titolare di una delle ditte perdenti in partenza, ndr), portandogli dieci milioni per volta, ma senza saperne la ragione. Quanto alla visita presso i Pianta (altra ditta, ndr), ammette che ci fu, così come ammette di aver portato dei documenti; ma, anche qui, ritenendo che fosse cosa perfettamente lecita, trattandosi, per di più, di “un incarico del tutto episodico e marginale, di carattere sostanzialmente esecutivo, che avrebbe potuto essere svolto da qualunque altro dipendente del mio livello”».
Insomma, Zanonato si cuce addosso i panni del fantoccio che non sa quello che fa e non capisce nulla. «Di fronte a tale disarmante difesa - ironizza Nordio - l'accusa si arrende. È in effetti impossibile dimostrare la coscienza e la volontà di concorrere a un reato come la turbativa d'asta, che postula un'intelligenza astuta e una spregiudicatezza smaliziata». Così, il pm chiede l'archiviazione per il sindaco privo di «intelligenza astuta» e poco smaliziato.

«Quando si parla di coop e soldi al partito - commenta l'avvocato Domenico Menorello, consigliere comunale di Forza Italia, assessore con il sindaco Giustina Destro - succede sempre che qualcuno “non poteva non sapere” e qualcun altro “non poteva capire”. Nel 1993 come nel 2006».

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