nostro inviato a Mirabello (Ferrara)
La sconfessione della linea dei falchi arriva nel primo pomeriggio nelle sale del ristorante «I Durandi», pochi chilometri fuori dal paesino di Mirabello. Fini arriva un po’ in ritardo, dopo aver raggiunto Ferrara in aereo, accompagnato dalla compagna Elisabetta Tulliani, dal suo portavoce Fabrizio Alfano, dalla «colomba» Giuseppe Consolo e dal ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. L’appuntamento, per dettare la linea ai suoi, è già fissato da tempo nella trattoria specializzata in tigelle e gnocchi fritti. E proprio lì i futuristi aspettano il proprio capo che si fa vivo verso le tre del pomeriggio.
Saluta i parlamentari di Futuro e libertà ad uno ad uno e li ringrazia: «Adesso è giunta l’ora della fermezza. Lo so, sono momenti difficili ma mi raccomando “Tutti per uno e uno per tutti”», dice stringendo la mano in stile americano. Fini ha ben chiaro cosa dire: la traccia è già segnata sui foglietti che aspettano soltanto di esser tirati fuori dal taschino della giacca. Per il resto, parlerà a braccio assecondando l’anima pulsante della piazza. In uno dei passaggi del suo interminabile discorso, Fini dirà: «È di tutta evidenza che i nostri capigruppo parlamentari parleranno chiaro, alto e forte, e lo faranno senza distinzione tra falchi e colombe. Non siamo appassionati di ornitologia ma di dibattiti politici».
Eppure il ristorante, ad un certo punto, sembra una voliera. Fini vuole sentire l’opinione delle sue truppe, seppure abbia già deciso cosa dire e come. E lo dice chiaro e tondo, inciampando anche in una piccola gaffe: «Ragazzi, se qualcuno vuole parlare, senza per forza stilare un ordine preciso degli interventi, si alza in piedi e parla». Poco più in là c’è l’onorevole Gianfranco Paglia, paracadutista, medaglia d’oro al valor militare, in sedia a rotelle dal 1993, data in cui ha perso l’uso delle gambe in un attentato a Mogadiscio: «Presidente - alza il braccio Paglia, a cui non manca il senso dell’autoironia - io, anche se non posso alzarmi in piedi, una cosa vorrei dirla». Si sorride. «Il governo ha fatto tante cose buone, sarebbe un errore metterlo in pericolo. Dobbiamo essere leali». E poi: «Dobbiamo dire la nostra e far presente i valori della destra ma occorre pure restare fedeli ai nostri elettori. Chi ci ha eletti ci vuole uniti». Parlano le colombe Moffa, Menia, Viespoli. Parlano i falchi Bocchino, Granata e Briguglio. Fini ascolta tutti per quasi due ore. Più o meno quindici interventi.
Alla fine emergono due linee: chi vorrebbe spaccare tutto e annunciare il nuovo partito che di fatto c’è già e chi frena. C’è chi si lascia trasportare dall’antiberlusconismo più ruvido e chi mitiga. C’è chi suggerisce di fare patti col diavolo pur di chiudere una volta per tutti il capitolo Cavaliere e chi esclude alleanze pasticciate, terzi poli et similia. C’è chi, come Menia, ribadisce che la strada giusta lui l’aveva indicata il giorno della nascita del Pdl. Allora fu il solo ad essere contrario alla fusione e venne sbeffeggiato da molti che, oggi, chiedono lo strappo definitivo. «La federazione. E il governo come fosse un tavolino retto da tre gambe: Pdl, Fli e Lega».
Riemergono personalisti e dissapori tra i finiani, fino a quando si trovano tutti d’accordo: «Adesso basta, facciamo riposare Gianfranco prima del discorso».Lui ascolta, medita, annuisce. Ora deve affrontare la piazza. Domani dovrà affrontare un nuovo partito diviso in correnti. Ma c’è abituato.
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