La predica di Biffi al politico smemorato sulle leggi razziali

Nell'autobiografia del cardinale, una dura replica al Fini critico verso la Chiesa. Mai nominato ma ben riconoscibile

Con il suo intervento sulle vergognose leggi razziali nel quale ha criticato la Chiesa per non aver reagito, Gianfranco Fini ha rivelato «i suoi gratuiti preconcetti e la sua singolare disinformazione». Lo scrive il cardinale Giacomo Biffi, 82 anni, arcivescovo emerito di Bologna, una delle menti più acute dell’episcopato italiano degli ultimi decenni, che vive da oltre un lustro ritirato e silente (dopo aver lasciato la guida della diocesi, nel dicembre 2003, non ha mai più rilasciato interviste) sulle colline della città felsinea.
È una delle tante parti aggiunte o riscritte dell’autobiografia del porporato, Memorie e digressioni di un italiano cardinale (Edizioni Cantagalli, pagg. 688, euro 25), in libreria nei prossimi giorni. Un libro che attraversa la Storia e la storia della Chiesa del Novecento. Una delle pagine ampliate riguarda le leggi razziali e la reazione cattolica. Il cardinale ha voluto aggiungere un riferimento al presidente della Camera, pur senza nominarlo direttamente. Ne indica però la data di nascita. «C’è stato recentemente chi (dall’alto di una delle massime cariche dello Stato) – scrive Biffi – in un intervento pubblico del tutto immotivato, ha parlato di un deplorevole silenzio della Chiesa in quella circostanza. Certo, essendo egli del 1952, ha l’attenuante che all’epoca non era ancora nato; ma ha l’aggravante di aver voluto ciò nonostante intervenire nel merito, rivelando al tempo stesso i suoi gratuiti preconcetti e la sua singolare disinformazione».
L’arcivescovo emerito di Bologna, quando ha scritto questa pagina, non poteva sapere della crisi di governo che proprio il presidente della Camera avrebbe aperto dopo la nascita del suo nuovo partito, Futuro e libertà. E dunque sarebbe del tutto improprio attribuire a Biffi interventi a gamba tesa nel (confusissimo) agone politico. Ma è certo che il cardinale non ha digerito le parole pronunciate da Fini il 16 dicembre 2008, a Montecitorio, inaugurando un convegno per i settant’anni da quell’infamia nazionale con la quale il fascismo cercò di mettersi in pari con l’alleato di Berlino. Il presidente della Camera in quella occasione aveva affermato che «l’ideologia fascista da sola» non bastava a spiegare «l’infamia» e c’è da chiedersi «perché la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica».
Il giorno dopo, una nota pubblicata su L’Osservatore Romano rilevava: «Di certo, sorprende e amareggia il fatto che uno degli eredi politici del fascismo — che dell’infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze — chiami ora in causa la Chiesa cattolica. Dimostrando approssimazione storica e meschino opportunismo politico».
In effetti il Papa Pio XI fu l’unica autorità a pronunciarsi pubblicamente contro il «Manifesto della razza» nel corso di tre discorsi, e il Vaticano, attraverso i suoi canali diplomatici, fece il possibile per arginare le leggi razziali. Ci furono certo differenziazioni, reazioni distinte, atteggiamenti tiepidi, ma è innegabile la contrarietà della Chiesa.
Nella sua autobiografia, prima dell’affondo contro Fini, il cardinale Biffi rievoca i fatti di quei giorni del 1938 che l’avevano «profondamente colpito» benché non avesse ancora undici anni. E ricorda: «Si levò a Milano una voce – era la prima e rimase l’unica – che ebbe il coraggio di prendere apertamente le distanze da tanta follia. Il 13 novembre il cardinal Schuster dal pulpito del duomo di Milano, per l’inizio dell’Avvento Ambrosiano, pronunciò un’omelia che fin dalle prime parole, invece di richiamare il contesto liturgico, affrontò sùbito l’argomento che più lo preoccupava: “È nata all’estero e serpeggia un po’ dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializzando nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all’umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo”».
È difficile oggi, continua Biffi, «rendersi conto dell’impressione suscitata da quelle parole di critica nei confronti del pensiero e comportamento di un governo che, ormai da decenni, non tollerava neppure la più tenue espressione dissonante. Esse non rimasero confinate entro la pur solenne atmosfera di una cattedrale affollata: furono stampate nella Rivista Diocesana Milanese e, due giorni dopo che erano state pronunciate, divulgate ne L’Italia, il quotidiano cattolico che entrava nelle nostre case». Schuster non fu lasciato solo: «Da parte del Papa arrivò un messaggio a firma del segretario monsignor Carlo Confalonieri: “Il Santo Padre esorta il cardinale di Milano a sostenere con coraggio la dottrina cattolica, poiché non si può cedere su questo punto, né il giornale L’Italia può cambiare indirizzo”...».


«Ero solo un ragazzo – conclude – ma da quella vicenda ho capito quale fortuna “laica” e razionale sia, quando sopraggiunge l’ora della generale pavidità e del conformismo accondiscendente, la presenza nel nostro paese della Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità». Una memoria da ravvivare, secondo il porporato di origini ambrosiane, soprattutto al presidente della Camera, dopo il suo «intervento pubblico del tutto immotivato».

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