«Un premio finale in denaro e incentivi per gli italiani»

Alberto Acciari, direttore Marketing della Federazione calcio dal ’97 al 2002 e ora docente di marketing sportivo presso l’Università Cattolica di Milano.
3905 spettatori per Ronaldinho. Perché la coppa continua a deludere?
«Perché non ha personalità. Resta il succedaneo di un torneo più importante. Non si è mai trovata una formula capace di crearle un suo pubblico. In più sono partite che si giocano d’inverno, col freddo, con la Rai che le dà in diretta. Visti i dati della passata stagione, non va bene neppure in tv: solo negli ottavi su La7, dove il 6-7% di share per quel canale era un risultato buono. Ma per le semifinali, su Rai uno, il 16% non era un gran che. Insomma, va cambiata».
Come?
«Primo: deve diventare una vetrina di osservazione di nuovi giocatori; secondo: bisogna puntare molto sul denaro. Servirebbe un torneo dove più vai avanti e più guadagni, più segni e più guadagni. In modo che alla fine, chi vince la coppa Italia vince un grande premio».
Ma quanto grande?
«I club di calcio sono aziende di profitto. Il campionato non dà premi, ma se una squadra lo vince, dagli sponsor alle amichevoli ai ritiri, registra aumenti delle entrate e, dunque, un ritorno economico. La coppa invece non dà nulla. Allora bisogna dare un premio, per esempio di 10 milioni di euro. Non solo: offriamo più soldi a chi fa giocare più italiani oppure, giusto per provocare, concediamo un gol di vantaggio a chi scende in campo con più italiani. Insomma, andiamo a cercare nuove formule».


La coppa come il campionato dei giocatori di casa nostra?
«Sì, un modo per far giocare ad alto livello i nostri calciatori. Quand’ero in Federazione, ho spinto molto l’Under 21 ed eravamo riusciti a creare un pubblico per la nazionale che andava a vedere i giovani campioni italiani... Perché non farlo con la coppa?»

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