Prete assassinato in Indonesia Nuove tensioni con i musulmani

Pastore protestante attirato in una trappola e ucciso con due colpi alla nuca

Roberto Fabbri

Un altro religioso cristiano è stato assassinato in Indonesia. È accaduto nell’isola di Sulawesi (un tempo conosciuta come Celebes), piagata da anni da sanguinosi scontri tra musulmani e cristiani. Ieri è toccato a un pastore protestante di 40 anni, Irianto Kongkoli. Il reverendo era appena uscito da un negozio di materiali per costruzione di Palu, un capoluogo di provincia nel centro della grande isola, dopo aver concordato un acquisto. Era già fuori quando si è sentito richiamare da una voce all’interno e ha fatto dietrofront. Quando è rientrato nel negozio qualcuno gli ha sparato da distanza ravvicinata due colpi di pistola alla nuca, freddandolo. La polizia non è stata in grado di identificare l’omicida.
La Comunione delle Chiese in Indonesia (Pgi), che raggruppa i protestanti nel Paese, ha chiesto al governo di Giakarta di impegnarsi al massimo nelle indagini su questo delitto, lamentando che in troppi casi simili i colpevoli siano rimasti impuniti. Al tempo stesso la Pgi ha chiesto ai capi religiosi di Sulawesi centrale di evitare «di farsi intrappolare in situazioni che finiscono con il sospingere i fedeli di diverse fedi gli uni contro gli altri».
Il governatore della provincia ha detto che l’assassinio del reverendo Kongkoli è probabilmente da collegare con il suo ruolo attivo nelle proteste contro la fucilazione di tre attivisti cristiani compiuta lo scorso 22 settembre - nonostante un appello di papa Benedetto XVI e le proteste dei gruppi di difesa dei diritti umani - per la loro presunta partecipazione ad atti di violenza contro musulmani nella provincia di Poso tra il 1998 e il 2001. In questa area, dopo le tre esecuzioni capitali, si sono registrati occasionali disordini, che in un caso hanno provocato la morte di due musulmani, e anche l’esplosione di alcuni ordigni, che peraltro non hanno provocato quasi mai danni né ferimenti.
Tanto basta, però, a creare un clima di tensione e soprattutto a far temere la ripresa di scontri interreligiosi gravi come quelli che provocarono nel centro di Sulawesi più di duemila morti fino alla fine del 2001, quando un accordo riuscì a ricomporre la pace tra le due comunità. A tale proposito è opportuno ricordare che in Indonesia l’85 per cento circa della popolazione (di circa 240 milioni) professa la religione islamica, il che ne fa il principale Paese musulmano al mondo, ma che Sulawesi e altre isole nel settore orientale dell’immenso arcipelago costituiscono un’eccezione in cui cristiani e musulmani pressoché si equivalgono numericamente.
Dopo le esecuzioni del 22 settembre, il governo di Giakarta ha inviato nella città di Poso 800 tra poliziotti e soldati per rinforzare i dispositivi di sicurezza e sorvegliare le strade che collegano le comunità di fede religiosa diversa. Ma tra i cristiani è diffusa la frustrazione dovuta al timore di essere trattati in modo iniquo, stante la netta prevalenza dei musulmani nel Paese.

In una provincia indonesiana, quella di Aceh, la legge coranica (sharia) viene addirittura applicata al posto di quella dello Stato, e recentemente alcuni candidati alle elezioni regionali del prossimo 11 dicembre sono stati esclusi perché non in grado di passare un «esame di lettura del Corano».

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