«Primi al mondo in ristorazione e duty free»

Il top manager: «La nostra priorità è la riduzione del debito. Difenderemo i mercati storici ma dobbiamo crescere in Oriente ed Est Europa»

nostro inviato a Londra

Il senso di un gruppo, nato italiano e oggi internazionale, è reso bene dalle diverse nazionalità dei top manager che circondano Gianmario Tondato, amministratore delegato di Autogrill: italiani, spagnoli, inglesi, americani, indiani. Mark Riches, numero uno di Uk retail Autogrill («un uomo che vale quasi 700 milioni di euro di fatturato», dice vezzosamente Tondato) non sembra molto preoccupato della crisi economica che colpisce anche la sua Inghilterra. «Nei nostri 63 negozi in sette diversi aeroporti del Regno, vendiamo ogni minuto che passa 1.100 bottiglie di liquori e 900 confezioni di profumi. Ogni minuto. In occasione dell’inaugurazione del Terminal 5 di Heathrow le cinque bottiglie per collezionisti del whisky Bowmore 1965, il cui costo si aggirava intorno a 8mila euro ciascuna, sono state vendute addirittura prima dell’inaugurazione».
Anche Aldo Papa, direttore generale per l’Italia, non sembra troppo preoccupato: «Certo le condizioni sono cambiate. Dal nostro osservatorio privilegiato (le autostrade sulle quali Autogrill ha ancora il 58% dei punti vendita, ndr) si nota una polarizzazione dei consumi. C’è una concentrazione nelle vendite di fascia alta e bassa. Si assiste al contrario a una contrazione dei prodotti di fascia media». Tondato sorride e continua a ripetere «ricordatevi che vendiamo panini, il mondo nonostante tutto continua a muoversi e non si ferma alla sola Europa».
Eppure i numeri dicono che si viaggia di meno e i consumi si contraggono. Che previsioni fate sulla vostra rete?
«Difficile farne - dice poco prima di presentare il piano industriale a una pattuglia di investitori riuniti a Londra -, soprattutto per dopo settembre. Bisogna capire soprattutto cosa succederà negli Stati Uniti. E dal nostro punto di vista, interessati come siamo agli aeroporti, occorre capire se si avrà un consolidamento delle rotte e un aumento dei prezzi dei biglietti. Tutti fenomeni che si stanno iniziando a vedere già oggi».
Dove si sente di più la crisi?
«Nel breve periodo le autostrade soffrono di più, si ha una percezione più immediata dell’aumento del costo della benzina. Ma nel lungo periodo, se non dovessero cambiare le condizioni, il canale aeroportuale rischia di essere colpito maggiormente».
Sì, ma per Autogrill non ci sono solo gli Stati Uniti e gli aeroporti.
«La diversificazione, ovviamente, ci aiuta. Se fossimo rimasti solo italiani, oggi saremmo fritti. Invece siamo presenti in 43 Paesi in giro per il mondo. Nel 1996 il 95% del fatturato era in Italia, oggi è sceso al 20 per cento. E non solo, come lei dice, abbiamo diversi canali di vendita: dieci anni fa le autostrade contavano per l’87%, oggi neanche per il 30 per cento. Inoltre siamo un gruppo che oltre al food and beverage è ormai presente anche nel retail. Siamo posizionati nei mercati che crescono come l’India e grazie alla nostra controllata Aldeasa (a due passi l’ad spagnolo e bocconiano, Palencia, ndr) abbiamo una buona posizione nei Paesi del Golfo».
Per mestiere è un grande fan della globalizzazione
«Sono realista: la globalizzazione è inarrestabile. È un’illusione stare fermi. Come ho già detto, all’inizio della sua storia recente Autogrill era praticamente monopolista nella ristorazione autostradale in Italia: avevamo l’80% dei punti vendita. L’antitrust ci ha imposto di scendere al 72% e oggi siamo sotto al 60 per cento. Se fossimo stati fermi, oggi saremmo nei guai».
Avete comprato molto nell’ultimo anno. World Duty Free, Alpha e Aldeasa, e il debito supera ora i due miliardi. Troppo per muoversi ancora. Avete raggiunto una dimensione ottimale?
«Siamo i leader mondiali nel retail e duty free aeroportuale, ma abbiamo ancora tante cose da fare. Innanzitutto difendere i mercati storici, Italia, Spagna, Regno Unito e Usa. E poi sviluppare i mercati ad alta crescita, dove siamo in ritardo e dove però stiamo investendo molto. Dobbiamo svilupparci maggiormente in Oriente e nell’Europa dell’Est».
I Benetton hanno quasi il 60 per cento del gruppo Autogrill. Una situazione che potrebbe rappresentare un freno sul mercato dei capitali?
«Al contrario, sono stati essenziali nel permetterci di fare una crescita così importante e per linee esterne».
Eppure a un certo punto volevano cedere Autogrill?
«Altri tempi».
Preoccupa un titolo che in Borsa ha perso il 40% dall’inizio dell’anno?
«È una questione di mercato e si deve accettare così com’è. Non bisogna preoccuparsi, siamo in un business di lungo periodo e abbiamo fatto gli investimenti giusti».
Lei è stato a lungo in America, come vede la sua crisi?
«È un Paese che amo e che ha risorse che non riusciamo a immaginare. Hanno una capacità di voltare pagina unica. Veda, fino a sei mesi fa i supersuv della Hummer erano considerati un mito. Poi il prezzo del petrolio crescente li ha messi fuori mercato. In un istante si chiude il capitolo Hummer. Si volta pagina e si va avanti. Non è la fine del mondo».


Avete un ambizioso progetto di sostenibilità ambientale: va di moda essere ambientalisti oggi?
«Non vi è alcuna tentazione propagandistica, niente marketing. Il nostro ciclo produttivo si articola attraverso la conservazione con il freddo e il consumo con il caldo. Essere meno energivori è un affare per noi. E anche per l’ambiente».

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