La principessa delle anti-Cenerentola

Bella e determinata, ha saputo come prendersi il suo William. È il simbolo di tante ragazze di oggi, che sanno ciò che vogliono e non sono disposte a sopportare i sacrifici delle loro madri. Poco romantiche, non certo illuse come la protagonista della favola

La principessa delle anti-Cenerentola

Finalmente Cenerentola sposò il principe e vissero tutti felici e contenti. Felici e contenti? Tutti? La favola è tale, solo perché non conosciamo il contenuto delle pagine successive. E nella storia di Cenerentola c’erano già gli ingredienti per immaginare il seguito non del tutto idilliaco: lei cresciuta nel sontuoso ruolo di vittima consapevole, disposta a ramazzare pavimenti e a servire le arcigne sorelle tra urla e dispetti; lui atletico e feticista, capace di riconoscere nel piedino di Cenerentola la forza erotica del maschio nobile.
Pochi anni; forse qualche figlio a risvegliare intensamente la volontà di sacrificio e accudimento di Cenerentola, tale da farla abbrutire nella devozione della famiglia; poi, come da ineluttabile copione, il Principe si sarebbe annoiato. Il suo erotismo sarebbe stato progressivamente più solleticato dai piedini delle damigelle, se non dalle sadiche provocazioni delle cognatastre. Cenerentola avrebbe appreso con stupore gli inganni, ma avrebbe continuato ad accettarli perché convinta che l’amore sia sacrificio, la famiglia sacra, il marito incontinente, ma bisognoso solo dell’amore (mortifero) di sua moglie.

Naturalmente la Fata della Zucca si sarebbe data per dispersa, certa che dalla magia può nascere l’amore, ma dal tradimento è impraticabile qualsiasi resurrezione. Un abile avvocato divorzista avrebbe poi combattuto per l’assegnazione del castello a lei, parte debole e madre affettuosa, mentre il suo, altrettanto abile avversario, avrebbe fatto valere l’ignavia sessuale di Cenerentola e avrebbe fatto passare le scorribande carnali del Principe come legittima difesa a fronte della offensiva trascuratezza muliebre.
Difficile conoscere l’esito della causa, perché la Cassazione deve ancora decidere.

Certo, non auguro a Will e Kate il percorso scontato e doloroso di tanti matrimoni. Anzi. Però si era già sfruttato inutilmente il termine di favola per Diana, quando tutti ormai sappiamo quanto dolore e rabbia nascondessero i suoi sorrisi in giro per il mondo.
Fatto sta che Kate, pur bellissima, ha la faccia da prepotente, abile, intelligente. E Will appare come un orsacchiotto, buono e festoso. Kate se l’è preso. L’ha voluto, l’ha incantato, l’ha lasciato, l’ha ripreso. Non ha sbagliato un gesto. Ha modulato vestiti, comportamenti, dimagrimenti, sorrisi e corrucci in funzione delle reazioni che pretendeva avesse Will ogni volta. Ha tracciato la mappa del proprio territorio emotivo, e l’ha chiamato all’inseguimento; lanciandogli tuttavia razzi luminosi ogni volta che lui perdeva la strada. Del resto lei è laureata in arte, lui in geografia. In amore vince chi fugge, soltanto se il «chi» è in grado di lasciare orme ben visibili. E Kate sa tracciare orme molto artistiche. Da gran regista qual è, saprà diventare anche regina. Non senza, magari, trasformare in attori protagonisti anche i comprimari che ha voluto al suo matrimonio: la sorella Pippa e il cognato Henry. Tenera e profonda l’idea di onorare la fratellanza; ma il farli trovare entrambi sull’altare, l’una in abito bianco e l’altro in divisa, come gli sposi, sembra quasi essere un trailer della prossima puntata della real-fiction.

Intervallato sulle televisioni di tutto il mondo, a volte dalle immagini della guerra in Libia, altre dai fedeli di Papa Wojtyla e persino da una specie di anatema dell’Onorevole Di Pietro, in questo spettacolo grandioso ed elegante, un po’ fuori tempo e un po’ fuori moda, è emersa dall’elegantissimo e sensuale abito da sposa, la faccia di Kate in tutta la sua potenza. Lo sguardo attento e penetrante, la bocca sottile e volitiva, la mascella ferma nel trionfo. Regale, certo. Consapevole della ragion di Stato. Come anche della ragion di Kate. Molto più di tante romantiche principesse, pateticamente luccicanti di lacrime invece che di potere.

Questo stesso viso, privo delle ombre dell’incertezza, sovente io vedo nelle trentenni contemporanee. Non hanno dovuto combattere per nulla, non hanno mai avuto necessità di ribellarsi; le madri hanno evitato loro le frustrazioni che genitori rigidi e severi hanno profuso alla generazione precedente. Sono state abituate ad avere tutto. Sono ragazze, donne direi, che sanno ciò che vogliono, ma soprattutto ciò che non vogliono: stenti, sacrifici, attese, incertezze. Hanno tanta autostima, da potere persino essere fiere, a esempio, di fare la escort per mantenere la famiglia e comprarsi una borsa in più.

I mariti di queste giovani donne sono tutti uguali: carini, educati, bonaccioni e adoranti. Un po’ come William, insomma. Quando si separano, sono i mariti che piangono, vorrebbero tenere i figli, sarebbero disposti a perdonare e ricominciare.


Ma queste ragazze con la faccia un po’ così, come Kate, diversamente da Cenerentola, non sono disposte al compromesso e tantomeno alla replica in seconda serata: sono loro a dover manovrare la telecamera ed essere registe, protagoniste, sceneggiatrici ed entusiaste spettatrici di ogni film della loro vita. Tutti rigorosamente da Oscar.

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